di Carla Putzu
Psicologa Psicoterapeuta e Neuropsicologa
@CarlaPutzuSportsPsychologist
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“La mia migliore motivazione è sempre venuta dalla gioia pura di correre e di gareggiare, è lo stesso brivido che avrei se fossi un bambino di 10 anni. Avete mai conosciuto un bambino di 10 anni nauseato da quello che fa?"
Michael Johnson, vincitore di cinque medaglie d’oro alle olimpiadi e otto volte campione del mondo
Sia nella sua forma, che nel suo significato la parola motivazione è composta da due concetti chiave: movimento e azione.
La motivazione è dunque una forza che ci spinge fortemente a muoverci verso un'azione, condotti da un'esigenza, un bisogno, un desiderio...
Nelle persone i bisogni rientrano in due grosse categorie: primari e innati, se relativi alla soddisfazione di esigenze fisiologiche legate alla sopravvivenza, come la fame, la sete e il sonno; secondari, se appresi e riferiti alla ricerca di gratificazioni come la sicurezza, l'appartenenza, l'autostima, l'auto realizzazione.
Di qualunque tipo essi siano i bisogni sono irrinunciabili, potenti e rappresentano una forza che assume l'aspetto ora di spinta dall'interno, ora di attrazione dall'esterno.
Facciamo un esempio: durante un duro allenamento la fatica ed eventuali variabili esterne avverse possono far vacillare la nostra tenacia nell'andare avanti. Quali sono le forze che entrano in gioco in quei momenti e che ci permettono di non mollare?
Una spinta interna a perseverare, per non vanificare il lavoro svolto fino a quel punto; e il nostro compagno di allenamento che davanti a noi non fa trasparire alcun segno di cedimento. In quest'ultimo caso parliamo di motivazione estrinseca, in quanto è il confronto con l'altro a muovere la mia volontà, sono attratto dall'esterno a continuare nella mia azione. Nel primo caso, invece, la motivazione è intrinseca, nasce dentro di me come spinta interiore: il confronto è con me stesso.
Spostiamo ora l'esempio in un contesto di gara. La posta in gioco si alza: la motivazione estrinseca è rappresentata dal risultato, dall'eventuale premio, dalla medaglia o dalla posizione ambita in classifica, dal tempo prefissato e dai riconoscimenti e apprezzamenti sociali legati all'evento. Quella intrinseca è legata ad aspetti di autostima, di considerazione di se stessi, alla volontà di fare bene, di fare meglio, di eccellere, non rispetto ad altri, ma con se stessi. È il concetto di autoefficacia, cioè la “consapevolezza di essere capace di fare”. Non è poco! Più sono auto-efficace e più mi diverto, e maggiore è la piacevolezza provata per quello che faccio, maggiore sarà il mio impegno in termini di tempo e costanza impiegato in quella attività, cosa che porterà ad ulteriore aumento di esperienza ed efficacia.
Quale sia il tipo di forza maggiormente vincente tra le due è chiaro. Vale nello sport, come nella vita: qualunque sia l'obiettivo, nel percorrere una strada lunga e faticosa abbiamo bisogno di grosse riserve di spinta interiore, quella che nasce e si allena dentro di noi, con un atteggiamento positivo e propositivo, che punti a una crescita del tutto personale, a concentrare attenzione ed energie nella prestazione stessa, e non solo nel risultato.
Allenare la motivazione comporta, tra le altre cose, un lavoro costante sulla definizione degli obiettivi: è bene che questi siano sempre predefiniti, chiari, condivisi e accettati dall’atleta e dall’allenatore e, soprattutto, realistici e potenzialmente raggiungibili, ma mai sottodimensionati rispetto al potenziale. La percezione di autoefficacia, l’esperienza di prestazione ottimale e gratificante in modo intrinseco può avvenire solo se percepiamo il compito come sufficientemente difficile e percepiamo noi stessi come sufficientemente competenti. Quindi, compiti o obiettivi troppo semplici non sono vissuti come motivanti, ma, al contrario, compiti troppo difficili o obiettivi eccessivamente elevati, rispetto alle competenze saranno fonte di frustrazioni ripetute.
Quando l’obiettivo non viene raggiunto è necessario abbassarlo di livello, aggiustandolo, per progressivi adattamenti. Allo stesso modo, se l’obiettivo viene centrato, il livello va spostato in alto, sempre al limite delle proprie capacità. In questo modo, gli errori non saranno vissuti come un fallimento, ma come feedback per aggiustare il tiro.
Obiettivi in movimento dunque, costruiti su misura, plasmati su standard personali e individuali, che comprendano adeguati livelli di difficoltà e di divertimento o piacevolezza, suscettibili di continui aggiustamenti e revisioni.
È quindi evidente che promuovere e coltivare la nostra motivazione dipende principalmente da noi e non da altri, o da fattori esterni, siano essi materiali o sociali: quando tutte le energie, le risorse e le abilità mentali sono orientate alla prestazione che si sta eseguendo, il premio è dato dal piacere insito nella prestazione stessa, in quanto azione sempre più efficace, consapevole e gratificante.