Quando il flow si spezza: il piano B

di Carla Putzu

Psicologa Psicoterapeuta e Neuropsicologa

@CarlaPutzuSportsPsychologist

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Foto (c) Thomas Martini - Adamello Ultra Trail

Abbiamo già visto come funzionano le cose quando ci troviamo in quella che molti chiamano la peak performance, condizione psico-fisica in cui si verifica lo stato di flow. Abbiamo visto che questo rappresenta una stato ideale, in cui l’azione si svolge senza inceppi, accompagnata da piacevoli sensazioni di padronanza e auto-efficacia, in una dimensione quasi “a-temporale”, dove anche la fatica assume una valenza positiva.

 

Le caratteristiche dello stato ideale di prestazione sono definite da alcuni aspetti psicologici e fisici:

l’attenzione è altamente focalizzata sul compito, ristretta e indirizzata a pochi elementi; elevata fiducia e ottimismo caratterizzano il nostro atteggiamento verso la prova; psicologicamente avvertiamo una sensazione di rilassamento e una grande energia psico-fisica ci attraversa; sensazione di profonda soddisfazione e distorsione spazio-temporale non ci fanno concentrare sulla fatica. Infine, la temporaneità di questa esperienza, la rende unica o comunque rara.

In questo senso lo stato ideale rappresenta solo una delle modalità o situazioni possibili durante una prestazione, la condizione particolare in cui abbiamo il completo controllo della prestazione, che eseguiamo tuttavia in totale automatismo, cioè in assenza di pensiero consapevole di ciascuna sequenza o movimento, quasi come fossimo in modalità “pilota automatico”. Si tratta di una situazione apparentemente contraddittoria perché l’automatismo esecutivo ci fa pensare a una assenza di controllo: tuttavia, come per le azioni o procedure altamente padroneggiate ed esercitate a lungo, ogni prestazione diventa automatica quando non è necessario controllare in modo sistematico ogni singolo movimento, ma è possibile eseguirla alla perfezione, dirigendo l’attenzione consapevole alla fluidità del processo intero. Immaginiamoci alla guida dell’auto: quando abbiamo appena imparato a guidare siamo concentrati su ogni singolo movimento e i nostri processi di controllo investono ciascun passaggio necessario a ingranare la marcia, premere la frizione, lentamente staccare il piede e contemporaneamente accelerare. Ma quando diventiamo esperti non controlliamo più volontariamente questi passaggi, semplicemente li eseguiamo in sequenze automatiche, pur avendone pieno controllo, potendo dirigere la nostra attenzione al traffico, al paesaggio, e anche al piacere della guida stessa!

Quando tutto fila liscio questo è ciò che accade. Ma, dicevo, non è la situazione più frequente, specie in caso di gare. La situazione può evolvere da un momento all’altro e il flow si può inceppare. È necessario allora avere pronta una procedura alternativa, programmata in via preventiva, per poterla eseguire in caso di inconvenienti.

Il piano B rappresenta la condizione di secondo tipo, quella in cui l’energia è ancora elevata, l’attenzione è ancora efficace, ma la nostra prestazione necessita di maggiori feedback, di un livello di controllo volontario più profondo e consapevole.

Riprendendo l’esempio della guida, è come se a un certo momento si accendesse una spia sul quadro, oppure sentissimo che la marcia non entra più. In quel caso saremmo costretti a verificare cosa ha fatto accendere la spia, o dovremmo fare attenzione ogni volta che dobbiamo cambiare marcia, facendolo più lentamente, e non certo in modo automatizzato.

Quando un atleta esperto sta eseguendo la sua azione e qualcosa va storto, può accadere che vada nel panico: allora comincia a ripassare ogni singolo aspetto della sua prestazione, controlla tutto, anche quello che sa non avere influenza sul processo e sul risultato. Ed è qui che compare l’errore. L’abilità da esercitare in questi casi è quella di compiere continuamente uno spostamento dalla condizione ottimale a quella sub-ottimale, cioè essere in grado di controllare solo gli elementi chiave, alla base del problema, in quanto controllare indistintamente tutto è controproducente!

Un suggerimento per chi sta affrontando una competizione e incontra degli imprevisti: essere allenati ad esercitare delle strategie cognitive, che abbiamo sperimentato essere per noi efficaci, in fase di allenamento e in gara.

Voi avete un piano B nel cassetto? Quali sono le vostre strategie cognitive?

La psicologia applicata allo sport studia i meccanismi, le tecniche e gli accorgimenti che facilitano la prestazione, che potenziano le abilità mentali legate alla specifica disciplina sportiva e che aumentano le probabilità di ritrovarsi nello stato psicologico ideale, più funzionale alla performance.

Tra queste tecniche troviamo la definizione degli obiettivi, le tecniche di rilassamento e di respirazione efficace, il potenziamento dell'attenzione, la gestione delle emozioni e dell'ansia, il dialogo positivo interno, la mindfullness... strada facendo le conosceremo tutte!