Testo di Valentina Michielli
La Grande Corsa Bianca è stato un sogno lungo 2 anni, ma questo era l’anno giusto con partenza venerdì 7 febbraio e arrivo sabato 8 il giorno del mio compleanno. A sole due settimane dall’evento effettuo l’iscrizione senza pensarci, il resto sarà solo avventura. La notte precedente la partenza mi accampo in auto come sempre, in solitaria, nel mio microcosmo. La notte non è così fredda e avvolta nel sacco a pelo ho quasi troppo caldo, mi godo l’ultima notte comoda prima di avventurarmi in questa corsa.
In partenza si respira un clima sereno e osservo silenziosa sguardi sorridenti, sì avete capito bene, sono sguardi felici, senti quella gioia dei bimbi scalpitanti consapevoli che andranno a divertirsi.
Si fa subito in amicizia davanti a un caffè, un poco ci si conosce già, rivedo Mirta e dopo un anno anche Samantha, lei si ricorda bene di me. Ci siamo conosciute l’anno prima durante l’Up & Down del Monte Prealba, io nella formula 36 h, avevo un sonno pazzesco e ridendo e scherzando mi ha tenuto sveglia con le tabelline (ne avessi azzeccata una . . .) e i Sette Nani (Pisolo, Brontolo e poi ??!).
© Davide Ferrari
Ma alla partenza a Manno si scatena subito l’adrenalina dell’inizio, quelle partenze sempre battezzate come “ignoranti”, perché lo sappiamo tutti che è lunga, è troppo lunga per spingere così forte. E’ questione di poco tempo e pure io rimedio con il mio passo e seguo il mio ritmo di sempre, quasi una velocità di crociera.
Questa volta addosso non ho la leggerezza di sempre, lo zaino pesa, il materiale obbligatorio è molto, prevede tutto il necessario per la nostra sicurezza. Sulla schiena ho uno zaino da 28 litri, è pieno, non so nemmeno quanto realmente pesi, per fortuna è molto comodo. Mi guardo intorno entusiasta, è la prima volta che andrò a fare così tanti chilometri in un contesto invernale, una corsa quasi totalmente nella neve, attraversando i parchi dell’Adamello e dello Stelvio. Io qui non ci sono mai stata, quindi la mia curiosità di esploratrice cresce. In questa occasione ho deciso di correre senza ascoltare le mie playlist preferite, niente musica.
Sono sincera, è il mese dell’anno che io preferisco, perché sento la primavera che nasce, in quel momento senti i primi canti degli uccellini, il calore del sole e mi ripeto quanto sono fortunata a vivere tutto questo.
Ma è questione di pochi chilometri, siamo solo all’inizio e la mia distrazione mi porta alla prima caduta evitabile, troppo attenta a scrutare l’orizzonte, il ghiaccio mi porta a terra, distesa. Non è successo niente e rido a voce alta per la mia sbadataggine. Qualche pensiero mi frulla in testa, ma dopo 30 chilometri la mente si fa libera e non penso davvero a nulla. Cambio il ritmo in base al terreno, c’ è molto ghiaccio, le parti con la neve sono molto faticose. Il passo non è di certo molto fluido e nelle discese diventa quasi comico. Penso che sembriamo quasi ubriachi visti da dietro e sorrido a questo sciocco pensiero.
La Grande Corsa Bianca per me sarà a tutta a piedi, e non invidio le difficoltà dei ragazzi che si affiancano con le loro fat bike. Si susseguono chiacchiere e scambi di parole, la sensazione è sempre la stessa, sembra che ci si conosca da sempre, sarà questo sport che ci accomuna.
Due check point sono molto distanti tra di loro (27 km il più distante) e questo significa provvedere a un saggio approvvigionamento. Gli imprevisti come sempre non si fanno attendere. La scelta delle ghette sbagliata fa sì che mi ritrovi ai piedi un qualcosa di inutile. Non ci penso e so che in ogni caso l’importante è non fare soste più lunghe del previsto per evitare il raffreddamento, la neve comincia ad accarezzare i piedi.
Sorseggio minuziosamente l’acqua dalla borraccia, i sali minerali sono fondamentali, con il freddo si tende a non bere ma il problema della disidratazione è dietro all’angolo. Anche in questo caso insorge l’imprevisto, non mi accorgo della temperatura che è scesa parecchio rispetto al mattino e qualcosa non va nella mia flask.Si è formato un tappo di ghiaccio sotto il tappo e sul fondo c’è una sorta di granita.
© Davide Ferrari
Avanzo come una bambina mangiando qua e là un po’ di neve, calmando lo stomaco con bustine di succo di limone.
Dopo l’iniziale condivisione di percorso, ognuno di noi si è perso lungo il proprio viaggio ed è qui che inizia quel mondo che mi piace: la solitudine, quella bella, che non ti spaventa, che ti coccola e che ti fa sentire tutt’uno con la natura. Io l’ho sempre cercata questa sensazione, ci sto dentro bene con tutta me stessa e in fondo mi ha reso quella che sono. Corro, e finalmente raggiungo il tramonto e risico fino all’ultimo minuto di luce, fino a che cedo, poso lo zaino e mi preparo per affrontare la notte. Torcia in fronte, batteria di riserva nella tasca al petto e scendo verso l’ultimo ristoro lontano per distanza.
Qui incontro Patrizia, che conosce molto bene il territorio. Così dopo la breve sosta e il cambio di indumenti facciamo parte del percorso insieme nella zona del Pianaccio, chiacchierando e condividendo emozioni di una notte stellata, il contorno delle montagne è affascinante. Ognuna di noi fa il suo passo, si sentono i lupi ululare , non ho paura , ma mi sento osservata. Allungo in discesa per poi raggiungere la Val Grande, chiedo gentilmente della birra (sfruttando sempre la scusa del compleanno), non attendo e sulla tavolata noto la bottiglia, la verso nel mio bicchiere mentre attendo il piatto di pasta. Con Il primo sorso svuoto mezzo bicchiere e capisco di aver fatto una cazzata! Ottimo, ma un po’ troppo alcolico. Sarà stata la stanchezza, la vista offuscata, a dire il vero non ho nemmeno letto l’etichetta, mi sono scolata un ottimo liquore artigianale.
Penso a come saranno le mie gambe, appena esco dalla locanda e mentre l’anziano volontario mi porge la vera birra, sorrido, rido e gli racconto la scena e poi faccio il bis con Patrizia che mi raggiunge. Ridiamo, mangiamo e si riparte insieme verso il traguardo sempre più vicino, ma in fondo, mi dispiace quasi un po’ che tutto questo finisca a breve. Mi sto divertendo, sembra quasi impossibile.
Si prosegue nella valle fredda, mi sento bene, mi canticchio “Happy Birthday” da sola pensando al doppio quattro (sono quarantaquattro). Il calore dei volontari, e tutte quelle emozioni mi caricano di energia, energia fino a Vezza D’Oglio al traguardo sotto i primi fiocchi di neve.
© Davide Ferrari