Ritiro delirante N. 1

di Francesco Rigodanza

Lo dice già il titolo. Vi ho spoilerato subito il finale. Perché un finale non c’è, non ci sono mai arrivato. Ma diavolo questa era la mia prima 100 miglia. Il mio primo tentativo. E 10 ore di vagabondaggio per il carso istriano li ho comunque negli occhi e nella testa.

Io ci provo lo stesso a raccontarla. Anzi provo a trovare tutte le scuse plausibili cosicché sia chiaro che se mi sono fermato anzitempo è stata tutta colpa destino.

 

UN TRAILER NON SI TOCCA NEANCHE CON UN FIORE: Alla partenza sono circondato da più di trecento aspiranti Finisher. Troppi. E parlano tutti una lingua diversa. Come partiamo ci infiliamo in una stradina stretta. Troppo stretta per trecento persone. Ho avuto più contatto fisico nei primi trecento metri di questa 100 miglia che negli ultimi tre mesi. Mi sono sentito violato.

LA MACCHINA DEL CAPO HA UN BUCO NELLA GOMMA: Primi 3km in discesa tecnica. Parto con calma e la cammino quasi tutta causa traffico. Dopo 10 minuti sento un sibilo familiare. Gomma bucata. Sarà l’anteriore o il posteriore? No aspetta, non sono in bici, sto correndo. E allora che è successo? Ho bucato il cuscinetto di una scarpa. Non so quanto sfigato sia ritenuto un evento del genere al primo km della prima cento miglia. In una classifica delle probabilità sta appena sopra alla medaglia d’oro di Steven Bradbury. Siccome non ho con me le pezze e la pompetta (dalla prossima volta nel materiale obbligatorio) mi dico che alla fine i piedi per correre non servono e continuo.

tramonto

 

LA VALLE INCANTATA: tramonto, carso, mare blu e Rijeka all’orizzonte. Vale la pena di correre guardando sempre a destra. Così mi viene il torcicollo al 12° km.

POOLDANCE: è la mia prima gara con i bastoncini. Sono stato indeciso fino all’ultimo ma alla fine me li sono portati via. Solo che non ho capito ancora bene bene come si usano. Passo i primi chilometri agitandoli a mo’ di randello, poi quando inizia la salita inizio a picchettare più deciso. Passo in salita Gabriele e gli chiedo, ti danno fastidio i bastoncini?” “No, no, tranquillo!”. Eh no cribbio! Se non provoco disagio a chi mi sta intorno non li sto usando in modo corretto! Col passare dei chilometri e l’aumentare della confusione mentale le cose si fanno più difficili, li tolgo quando sale, li metto quando spiana, li dimentico in quasi tutti i ristori… un disastro. E ho le braccia che fan più male delle gambe!

Che stile, che eleganza

 

INFALLIBABILE: sei partito piano? si. Stai correndo sciolto? si. Stai mangiando e bevendo ogni 30 minuti? si. Sembra andare tutto ok. Poi succede che raggiungo Francesca Canepa:” Ciao Francesca! Complimenti!” “Complimenti anche a te per la tua corsa”. Io scherzo:“No, no vedrai che tra 3 km muoio!” Non lo avessi mai detto. 3 km dopo c’è il secondo ristoro. Nausea, tanto nausea. Sono fregato. La coca cola non va giù, l’acqua pure. Da lì in poi sarà tutto un tremendo casino nella speranza che tutto passi (è passato si, dopo 5 giorni!). Odio essere infallibile. Il motto è stato “eancheaquestoristoromiritiroalprossimo”

ALL YOU CAN EAT: queste Aid station fatele scomode e spartane così la gente è invogliata a ripartire. E invece sono quasi tutte al chiuso, con dei volontari premurosi e gentilissimi, con ogni ben di dio e anche delle brandine per riposare. Delle bellissime isole felici. Peccato che riuscissi a mandare giù solo the caldo, brodo e pancetta (lo so è strano ma non capisco come funziono).

E VISSERO TUTTI STANCHI CONTENTI: si ma finita la gara? come sarò ridotto? quanto ci metterò a recuperare? Passerò giorni faticando a stare sveglio e senza forze? Ma io devo lavorare! Queste sono esattamente le domande che uno non dovrebbe mai farsi mentre corre. L’obbiettivo della finish line in testa e basta. Senza preoccuparsi su quello che sarò dopo. Ho sbagliato. L’avessi voluto veramente sarei arrivato alla fine. Ma a che prezzo? Distrutto e narcolettico per giorni? Boh. Finchè non arrivo in fondo non lo saprò.

QUELLE BRUTTE COMPAGNIE: Mi piace chiacchierare mentre corro. Specie quando bisogna stare sui piedi per ore e ore e devo distrarmi dal pancino sottosopra. Per cui è stata una fortuna condividere 15 km con Cristiana Follador. Ne ho invidiato la grinta e l’intensità. Poi sono arrivato al ristoro al 57° km a mezzanotte e ho trovato un esemplare di Paolo Massarenti comodamente seduto davanti ad una stufetta. L’ho guardato e non so con quali parole sono riuscito a convincerlo a rimettersi in piedi e farsi altri 30 km con me, almeno fino al 90° km, quando era ormai mezzanotte e fuori facevano 3° gradi (al caldo non ci pensiamo più). Si l’ho convinto. Non vi sembra incredibile? Dovrei entrare in politica! O vendere set di scarpe da Trail porta a porta… devo ancora decidere

LA NOTTE PORTA CONSIGLIO: Stai male? Sei stanco? Sei in giro da quasi nove ore? E allora cosa c’è di meglio di trovare un volontario affettuoso lungo il percorso che ti rincuora dicendo:” dai che mancano solo cento chilometri!!?

NON CI VEDO PIU DALLA FAME: ok, anche le migliori intenzioni svaniscono. Sono 10 ore che siamo in giro. Ho fatto di peggio ma stando molto meglio. Tra l’altro sudo marcio. È la prima volta che la mia puzza dà fastidio anche a me. Di solito ammorbo solo chi mi sta vicino (soprattutto dietro). Per fortuna che in discesa devo seguire solo la lucina di Paolo perché vedo tutto sfuocato.

GAME OVER

Scendiamo fino al ristoro del 90° km di Buzet. Metà gara più o meno. Ci ha dato una mano Rossano, diligentissimo e stanchissimo assistente di Cristiana. Qua troviamo le nostre borse, qualche brandina, cibo caldo.

Mangio. Quello che riesco. Cioè come prima the caldo, minestrone e polpette (non ho ancora capito perché!). Io e Paolo ora siamo tranquilli e allegri. E molto fastidiosi. La depressione da fallito obiettivo ancora non è arrivata.

Osservo le facce di chi si ferma e riparte. Molto provate. Sfinite. Mi vergogno un po’, sono molto meno stanco ma ho mollato prima. Facce bianche, un po’ addormentate, infreddolite e spaesate. Mi vergogno molto. Un ragazzo si sdraia “un attimo” per rialzarsi due ore dopo, un altro aspetta un’ora che il GPS si carichi per poter mettere tutta la traccia su Strava, Alen, l’organizzatore, si addormenta sulle panche dell’entrata qualche minuto, Cristiana inizia ad avere qualche dubbio sul gusto dei Sali.

Di questa cento miglia non si butta via niente. Mi sono ritirato? Si. Ma ci sono un sacco di cose ancora da fare! Mi faccio adottare come “aspirante volontario” in base vita. Do una mano nei rifornimenti, chiacchiero con chi si ferma (la discussione alle 4 di notte con Duncan su dove si allena lui nelle campagne inglesi per trovare del dislivello ha alimentato il mio senso di colpa), aiuto ad aprire le borse, calcio fuori chi ha intenzione di ritirarsi e aiuto gli anziani ad attraversare la strada. Le solite buone azioni.

Quando sta per sopraggiungere l’alba arriva anche Nazareno, già finisher l’anno scorso. Lo vedo provato, molto provato. Provo a mettergli in mano del minestrone ma non va giù. Lo prendo per manina e lo porto a nanna. Speriamo bene ma in questo momento la vedo dura.

Finalmente sto per tornare ad Umago nel modo peggiore: il pulmino. Saluto gli ultimi compagni di ristoro tra cui gli amici trentini che mi invitano a venire al Dolomiti di Brenta Trail. Non ricordo bene le parole esatte, ma alle 6 di mattina, dopo un ritiro che brucia, una notte insonne e tanta stanchezza devo aver detto qualcosa come “piuttosto all’IKEA!”

Ritorno a Umago e… No non è ancora finita. Ho l’occasione di vedere l’arrivo dei primi e fare per una volta il bravo inviato di SpiritoTrail. No, ho sbagliato. Di nuovo. Sono un pessimo inviato. Sono collassato nel letto perdendomi i primi tre. Altro che Istria, la prossima volta non mi mandano neanche alla podistica della sagra della soppressa.

Non ne ho combinata una giusta. Lo ammetto. Però ne sono rimasto affascinato. Dai posti, dalla gara, dall’atmosfera. Pur avendo finito il mio lavoro (fatto molto male) non ho voluto andarmene. Dall’una di pomeriggio alle dieci sera sono rimasto ad applaudire gli arrivi, guardare i marmocchi del miniTrail, aspettare gli amici, incoraggiare gli sconosciuti, o anche correre gli ultimi 3-4 chilometri con chi si è incontrato sul percorso come Duncan, che alla faccia del piattume britannico questi 7500 d+ se li è portati a casa.

170 km sono tanti. Tantissimi. Ho imparato che bisogna volerlo veramente. Io volevo una sfida nuova, provare un’avventura diversa. Non finire 170 km. Non mi sono mai fermato a pensare che effettivamente “finisher di una 100 miglia” mi si addice poco. Esploratore di cose a cazzo di cane suona molto meglio.

Ci riproverò? Si, forse, un giorno. A metà non si lascia niente. L’Istria si è rilevata una terra bellissima e i volontari e gli abitanti lungo il percorso delle persone splendide. Merita. Merita parecchio.

Perché oltre al ritiro brucia la colazione a buffet saltata il giorno dopo. Posso fare quanti DNF vuoi ma il buffet no. Il buffet è una cosa seria. Tornerò per il buffet!

Un giorno sarò anche io “100 buffet finisher”

Next time