Intervista di Maurizio Scilla
I Campionati Mondiali di Corsa in Montagna e Trail (WMTRC), si avvicinano, abbiamo incontrato Paolo Germanetto (selezionatore della nazionale e coordinatore del settore Mountain & Trail della Fidal).
A Innsbruck l’Italia porterà un lotto di atleti capace di dire la sua in tutte le specialità (Vertical Uphill, Mountain Classic, Trail Short e Trail Long).
Il Team Italia, vista la vicinanza del Tirolo, ha avuto la possibilità di visionare i vari percorsi lo scorso week end, ma a causa della molta neve caduta è stato impossibile percorrere alcuni tratti.
Il percorso del Trail Long verrà sicuramente modificato.
Paolo, hai voglia di parlarci dell’evoluzione del mondo della corsa in montagna e trail, da quel lontano 2013 quando sei stato nominato responsabile del settore ad oggi?
Al di là dell’excursus storico relativo ai riconoscimenti ufficiali delle diverse discipline e alle convergenze tra World Athletics, IAU, ITRA e WMRA, è un dato di fatto che molte dinamiche siano cambiate e soprattutto si siano confrontati e contemperati i punti di vista di attori (anche privati) che sembravano pregiudizialmente inconciliabili. L’idea che ogni due anni ci possa essere una rassegna globale che coinvolge gli atleti in maglia nazionale non è più osteggiata da marchi commerciali che fino a poco tempo fa magari potevano valutare negativamente un momento in cui i propri atleti non vestivano la maglia dello sponsor. Non è banale, per esempio, il fatto che La Sportiva e Salomon oggi condividano una partnership tecnica per Innsbruck-Stubai 2023.
Si vede interesse laddove c’era diffidenza, se non ostilità: gli atleti sempre più regolarmente ambiscono a vestire la maglia nazionale. L’attenzione mediatica degli/sugli atleti è un ulteriore segno di crescita. La partecipazione di 70 Nazioni, la presenza di nuovi paesi importanti, in particolare Cina e paesi asiatici, è un segnale che ci auguriamo World Athletics in primis colga in tutti i suoi risvolti.
Dal 2013 ho visto molte volte cambiare punti di vista, talvolta anche il mio, sull’off-road running che continua a crescere e, per certi aspetti, infrangere tabù. La semplice organizzazione biennale di un mondiale unificato di corsa in montagna e trail, che non confligge con le iniziative di circuiti commerciali di gare, è chiara testimonianza di un contesto evoluto e migliorato.
In un orizzonte temporale più recente e limitatamente all’ambito delle squadre azzurre, schieriamo formazioni pressoché complete in tutte le gare, mentre invece alcune nazioni leader (Spagna, Francia) operano scelte restrittive portando un numero limitato di atleti/e sulle gare più lunghe. È una conferma in ogni caso dell’opportunità di portare al tavolo della discussione magari anche la possibilità di ridisegnare i numeri degli atleti per gara.
Proviamo ad analizzare le singole gare, partendo dal Vertical Uphill, che non sembra presentare un percorso con pendenze impossibili (7,1 km 1020 m+), ci parli del percorso e delle nostre ambizioni?
Il percorso, in estrema sintesi, presenta una parte iniziale e una parte finale con pendenze ripide e circa due chilometri centrali decisamente più filanti, che possono risultare più favorevoli ad atleti veloci sul piano: è qui che si diluisce la percentuale di dislivello finale. È abbastanza facile immaginare che saranno gare tiratissime, con distacchi molto ridotti e con la possibilità di un interscambio frequente di posizioni dal limitare della top 10 fino alla 30^ posizione circa, dove si giocano di fatto i piazzamenti per squadre.
Al di là dei percorsi, nelle prove di Mountain Running la presenza degli atleti africani, in particolare in maglia Uganda e Kenya, può significare una sorta di monopolio delle posizioni di vertice.
Il protagonista atteso e nome noto è Patrick Kipngeno, con tutti i compagni di fatiche sugli altipiani a contendergli il primato (in primis il compagno Ombogo Kiriago e l’ugandese Levi Kiprotich); gli USA schierano tra gli altri il bicampione mondiale Joe Gray e attendono alla prova sul Vertical anche Jim Walmsley. Spagna e Svizzera si presentano con team compatti e competitivi, nel caso svizzero anche in assenza di Remi Bonnet (che sarebbe stato interessante vedere nel confronto con gli africani). Outsider “di lusso”: Andrew Douglas e Jacob Adkin (Gran Bretagna), Zak Hanna (Irlanda), Johan Bugge (Norvegia).
Le ambizioni italiane passano per una squadra in parte nuova e diversa da quella schierata in Thailandia, con gli esordienti Elia e Moia a supporto di Maestri e Rostan, erede dei campioni del mondo di Chiang Mai ma alle prese con l’Uganda e il Kenya che per ragioni diverse non figurano nelle classifiche a squadre di quel mondiale.
Al femminile i favori del pronostico vanno ancora alle africane che schierano squadre complete (l’Uganda di Risper Chebet e il Kenya di Joyce Muthoni) e alle “garanzie” di atlete come Andrea Mayr, Allie McLaughlin, Christelle Dewalle, Grayson Murphy o alla freschezza di atlete come Madalina Florea, Susanna Saapunki, Scout Adkin
In chiave azzurra, la squadra è per tre quarti composta dalle medesime ragazze che correranno anche la Mountain Classic: la necessità di schierare le squadre migliori possibili non permette di variare troppo la composizione dei team azzurri, allontanandosi dai livelli competitivi internazionali. Le possibilità di medaglia individuale sono sulla carta precluse dalla presenza nelle compagini straniere di molte individualità di altissimo profilo, la nostra resta comunque una buonissima squadra: difficile dire se abbia possibilità di medaglia, ma se tutte le ragazze sapranno esprimersi al proprio meglio non si può escludere che si possa avvicinare il podio.
La Mountain Classic sarà l’ultima gara in programma sabato 10 giugno, partenza da Innsbruck, 15 km 750 m+, un anello da ripetere due volte, percorso e possibilità azzurre?
Essendo diventata davvero rassegna globale, sono parecchie le nazioni che vedono propri atleti occupare posizioni alte nelle classifiche delle varie prove. Non è più l’epoca in cui poche “bandierine” coloravano il medagliere. Percorso da velocità “brutali” sia nel tratto cittadino, sia nella salita e nella discesa con diverse caratteristiche tecniche a prevalere o esaltarsi.
Al maschile, fermo restando il tema del confronto con l’Africa, favorite Kenya (con la stessa formazione del Vertical) e Uganda con Chemutai-Cherop-Kibet-Yeko, si potrebbe ripetere il duello tra il nostro terzetto di punta (Maestri, Chevrier e Vender affiancati da Luciano Rota) con la Spagna di Andreu Blanes, vincitore di Sierre Zinal 2022 e capace di un 6° posto a precedere Vender a Chiang Mai.
Per le azzurre, sostanzialmente al secondo impegno in quattro giorni con l’innesto della pedina importante Sara Bottarelli, vale ancora il discorso fatto per la Vertical Uphill. Avversarie principali ancora una volta le ragazze dei team africani (Uganda con Immaculate Chemutai e Kenya con lo stesso team del Vertical), USA con le due superstar già citate e rincalzi di gran classe (Tomajczik ed Enman), Gran Bretagna con Adkin, Page e Williams e Francia che schiera Poncet, Jarousseau e ancora Dewalle.
Naturalmente il format Mountain Classic riguarda anche le squadre Under 20, investimento importante sul futuro dell’off-road running ma sostanzialmente esperienza da vivere senza pressione e con serenità, che sia trampolino per un futuro di successo o occasione unica nella vita sportiva.
Il Trail Short si correrà il secondo giorno di gara, con partenza da Innsbruck e arrivo a Neustift, 45 km con 3130 m+ in origine, ma con il passaggio i 2400 m del Kreuzjoch ancora innevato. Ci dai news sul percorso e sui nostri azzurri?
I percorsi del trail sono decisamente alpini e completi: tratti dove spingere forte si alternano a tratti con le classiche caratteristiche tecniche alpine e con passaggi in quota non irrilevanti. Le informazioni che arrivano dal Comitato Organizzatore parlano di un monitoraggio costante delle condizioni dei percorsi, ma ad oggi non è stata ipotizzata alcuna modifica del percorso originale.
In relazione alla maglia azzurra, è indubbio che questo sia il format di gara in cui i nostri si giocano le migliori chance di medaglia sia a livello individuale, sia per team. Partiamo da squadra campione del mondo e dall’argento di Puppi. Chiaramente l’innesto di Davide Magnini aggiunge solidità alle possibilità di squadra ed alle ambizioni individuali per il podio. Al netto della presenza sporadica del Kenya, i favoriti sono i protagonisti di Chiang Mai e di El Paso: Stian Angermund (Norvegia), Max King (USA), Jonathan Albon (Gran Bretagna), Maximilien Drion (Belgio), Rui Ueda (Giappone) e altri ancora. La Francia potrebbe essere l’avversario più ostico (Bonin, Cardin, Tranchand, Robert, Baronian, Rancon) per individualità e compattezza, così come rimane valore importante la compattezza del team spagnolo e dell’inedito team cinese. Francesco Puppi arriva a questo mondiale attraverso un percorso tecnico fatto di consistenza ma anche di pochissime competizioni e periodi di cross training prolungati, con meno certezze dello scorso anno; rimane tuttavia “animale” con rare capacità di sintesi in competizioni di questo tipo e livello. Davide ha chiuso da poco la stagione invernale e partirà senza troppi riferimenti sulla corsa, ma è quanto gli è sempre successo e anche in questo periodo della stagione ha spesso corso davvero forte. Accanto a Minoggio, la presenza di giovani come Pattis, Rota e Del Pero, diventa un ulteriore valore aggiunto in proiezione futura.
Senza che le posizioni sul podio siano prenotate da atleti africani, si apre la possibilità per diversi di giocarsi a viso aperto le proprie potenzialità, sia al maschile sia al femminile.
Tra le ragazze spiccano alcuni nomi, tra cui Judith Wyder (Svizzera), Cristina Simion (Romania), Caitlin Fielder (Nuova Zelanda), Sylvia Nordskar (Norvegia), Marie Goncalves (Francia), Nuria Gil (Spagna), Laura Hottenrott (Germania, maratoneta di classe) e Daniela Oemus (ancora Germania, recente trionfatrice a Zegama). Al femminile l’Italia schiera team completo, a differenza di quanto accaduto in Thailandia, con atlete come Conti e Cumerlato che già hanno dimostrato di essere solide su questo format di gara e altre come Basso e ancor più Gaggi che arrivano da esperienze di buono e ottimo livello sulle distanze più brevi. Le prestazioni delle nostre si inseriranno in un contesto di densità di livello prestativo più alta che in quello della gara lunga, e diventa così più difficile pronosticare l’esito per team.
Il Trail Long è previsto il terzo giorno, con partenza da Neustift e arrivo nella capitale del Tirolo, 85 km 5500 m+ teorici, visti i sicuri cambiamenti. Ci parli del nuovo percorso e delle nostre chance?
Confermo che il trail lungo verrà con ogni probabilità modificato in alcuni passaggi alle quote più alte, la traccia alternativa è già disponibile sul sito web dei Campionati e si discosta poco nelle caratteristiche generali (distanza complessiva, difficoltà tecnica e altimetrica) dall’originale, così come non cambia la logistica dei punti di rifornimento, assistenza e timing.
I nomi di spicco sono quelli di Hannes Namberger (Germania), Jim Walmsley e Zach Miller (USA), il nostro Andreas Reiterer, francesi e spagnolii. L’Italia si presenta chiaramente con una carta individuale importante, Reiterer, che nelle ultime due stagioni ha dimostrato di potersi confrontare a viso aperto con tutti in competizioni ad alto livello. Gli ultimi mesi testimoniano una crescita consistente di Davide Cheraz, entrato in una nuova dimensione. Gli altri quattro azzurri escono dalla prova di selezione con distacchi minimi tra loro: Philipp Ausserhofer proverà a giocarsi anche la carte del “fattore casa”.
Favorite assolute per le medaglie più preziose sono L’Hirondel e la sua Francia, su una Spagna competitiva ma ridotta al minimo (con solo tre atlete iscritte). L’Italia presenta un team più numeroso che in Thailandia, confermando Turini e Spagnol cui si aggiunge in particolare Martina Valmassoi, reduce da un’ottima Transvulcania. Gli spazi per fare bene ci sono.
Secondo te quali saranno le star di questo mondiale?
Le abbiamo sostanzialmente già citate e per il “mondo trail” i nomi iconici sono quelli di Walmsley, Namberger, i nostri Puppi, Reiterer e Magnini, oltre a personaggi “potenti” anche in termini di visibilità mediatica come Emelie Forsberg. Dal punto di vista più squisitamente tecnico, non citato in precedenza, sottolinerei la presenza di Philimon Abraham (tedesco, eccellente interprete anche di cross e maratona), Domenika Mayer (tedesca, top ten di maratona agli ultimi europei) e il nostro stesso Cesare Maestri.
Possono diventare personaggi anche atleti icone di paesi relativamente nuovi per il contesto come ad esempio Cina o alcuni paesi sudamericani comunque presenti in forze: alla fine il fascino di un Mondiale è anche scoprire nomi e realtà differenti dal consueto.
Le squadre africane sono già fortissime nelle gare di corsa in montagna. Credi che presto le vedremo sul gradino più alto del podio anche su Short e Long Trail?
Per quelle che sono le dinamiche di avvicinamento alle competizioni viste finora sembra un processo un po’ più lento. Al momento sembra che le possibilità di partecipazione di questi atleti in ambito “off-road” siano correlate alla pratica di discipline di mezzofondo e fondo più tradizionali. Per vedere più africani in ambito trail probabilmente occorrerà attendere che si investa (realisticamente da parte di brand commerciali) su atleti degli altipiani con chiare potenzialità di eccellenza, se non addirittura di stravolgere lo scenario del trail. Al momento, per le caratteristiche sia degli atleti africani sia delle discipline di corsa in montagna, i punti di contatto sembrano essere nelle distanze più “brevi”; per vedere davvero ragazzi esprimersi ad altissimo livello su distanze più lunghe occorre che qualcuno operi scelte drastiche per coinvolgerli in ambito trail. Ovviamente coinvolgere atleti africani nel mondo trail comporta investimenti sulla partecipazione universale a competizioni e campionati, cosa un tempo fatta da World Athletics per pista e strada, ma che ITRA per prima non ha preso in considerazione fino ad ora. Si tratta d’altra parte di persone, atleti, abituati a prescindere a muoversi per lunghe distanze su terreni off-road.
Come gestirete la spedizione in Austria?
Partendo dal presupposto che gran parte della squadra, con importante investimento federale, ha avuto la possibilità di visionare i percorsi in un recentissimo raduno, l’avvicinamento al mondiale prevede l’arrivo ad Innsbruck in due tranches: gli atleti delle prime gare e del trail tendenzialmente raggiungeranno l’Austria il 1° giugno, gli altri (inclusi gli under 20) si uniranno al team il 5 giugno. Cerimonia di apertura il 6, gare dal 7 al 10 e rientro l’11 giugno per tutti. La scelta di tenere il team in Austria fino all’ultima competizione è collegata alla specifica volontà di motivare ciascuno a supportare gli altri, ad essere squadra sempre.
Sarà un team di 43 atleti, che richiede il supporto di staff federale adeguato in termini di tecnici, medico, fisioterapisti, team management, media.
In questi contesti è importante riuscire a creare un clima che rappresenti un mix tra serenità, leggerezza, concentrazione e al contempo condivisione delle ambizioni sia individuali sia di squadra. Speriamo di riuscire in questo intento.