Ah, il famoso Decesega, parente alla lontana del Motospugliatore
Terza tappa – Eisten - Grimentz
Doccia, pranzo, nanna per 1 ora e mezza, imposto la sveglia. Il dormitorio è una palestra di 10x15 con dei materassini di spugna di 5 cm. Ci sono coperte, non serve il sacco a pelo. Chiedo al Dece di prodigarsi come peluche per la nanna, con estro affettuoso si corica nel materassino vicino a me… ah, l’amore… Provo a trovare una posizione decente, ma ho fitte nei piedi, nelle gambe, nelle anche e nella schiena… magari potevo mettere la crema all’arnica prima di mettermi giù, AHIA! Dopo 10 minuti mi addormento comunque. Dormo di un sonno agitato, ogni tanto sento una fitta qui o là, apro gli occhi e mi giro, sempre senza svegliarmi del tutto.
“Hei! Sveglia”
… cos…
“Sveglia, stai russando”
Guardo l’orologio… mancano 7 minuti alla sveglia!
“sì, ma russi alla grande, così almeno dormono un po’ anche gli altri”
Cioè, tu … e poi … che io…??? Chiudo gli occhi e cerco di ritrovare la pace per addormentarmi, ma ormai…
Mi alzo e comincio a prepararmi.
Vado in bagno, ho la faccia ustionata dal sole dopo due giorni in giro per i monti. Metto la crema protettiva nello zainio ma ormai è tardi. Esco e incontro il mio amico Silver. Ha una gamba fasciata… cos’hai fatto? “eh, sono caduto in doccia”, Ma come, hai corso con me su sentieri con pendenze impossibili, rocce, salti, e mi cadi in doccia??? “eh… già… adesso vediamo come va ma ho paura che devo ritirarmi”. Macchesfiga…
Torno nel capannone dove si mangia, comunico al Dece che rischia di perdere la mia amicizia se mi interrompe il sonno di nuovo, senza cattiveria. Chiediamo cos’hanno da mangiare: “pahlenta”. Ascolta, amore mio, si dice polenta. “ok, we have pohlènta, do you want balaggnesy?”. No no, polenta con il pastone (che non è ragù…) no. Prendo polenta, formaggio e salame e mi faccio una bella carica di polente&formadi.
Mangio anche un po’ di cioccolata e me ne infilo nello zaino una mezza tavoletta come snack di viaggio, memore del calo di zuccheri durante il giorno.
Si parte! Usciamo assieme io e il Dece, gli ho spiegato che è evidente che non abbiamo lo stesso passo né in salita né in discesa. Se stiamo assieme rischiamo di farci male e uno dei due non finirà la corsa. Gli dico che sono d’accordo di fare assieme la notte e poi ognuno con il suo ritmo.
Da indicazioni di chi aveva già fatto questa gara, la prima salita è facile, la seconda impestatissima.
Da subito si parte su un prato, salita dritto per dritto, con una pendenza del 50% (perché?), per fortuna dura pochissimo e si arriva al sentiero. Sentiero veramente brutto e brullo, 2-3 km di salita, con pendenza spesso oltre al 40%, sassi, radici, si scivola e in parte c’è spesso un burrone. Scende il buio della notte, con le frontali avanziamo con passo deciso tenendo sempre un occhio verso il burrone pronto ad accoglierci. Il terreno di terra battuta lascia il posto alla roccia, ad un certo punto ci ritroviamo davanti proprio un muro di roccia, scavato leggermente a conca per riuscire a passare sul lato, attrezzato con un cavo in acciaio, i piedi appoggiano sulla roccia pendente, ci teniamo alla corda con il corpo leggermente esposto sul vuoto, mentre quel cax.o di zaino gratta sulla parete e ci spinge verso il burrone. Questo passaggio dura poco, saran stati 5 metri, ma è abbastanza stuzzicante per svegliare anche il più rincoglionito dal sonno. E poi riprende il percorso su terreno battuto, con rocce e radici, non è proprio un sentiero, le bandiere indicano il percorso da fare dritto per dritto. Un cartello avverte che da lì in poi la situazione cambierà: ATTENZIONE, TAGLIO ALBERI.
Un chilometro, o poco più, di tronchi sfrondati lasciati sul terreno, sparsi come Nusret Gökçe rilascia il sale sui grossi pezzi di carne cotti alla brace. Alla cax.o? Esatto. Si salta, scavalca, schiva, passa sotto, si sale e si cammina in equilibrio su tronchi resinosi, sempre con una pendenza della salita del 30-40%, sempre con quel cacchio di burrone con la bocca spalancata in parte.
Questo tratto mette decisamente ansia. Il fatto che sono in compagna del Dece mi fa sentire più sereno. Superiamo un altro corridore, che si accoda a noi per farsi coraggio. Dopo un chilometro superiamo una barriera paravalanghe e lì finalmente ci sediamo un attimo a riposare, l’unico posto tranquillo in cui ci sentiamo sicuri. Per un minuto mi siedo sulla resina sciolta di un tronco, il Dece rimane ad aspettarmi in piedi e ripartiamo, l’altro corridore si era fermato con noi e ci segue a ruota.
Finisce la zona di taglio e scolliniamo, dopo un po' si vede un sentiero vero e proprio e poi diventa strada carrabile. Arriviamo ad un impianto sciistico, cerchiamo di capire se ci sia un ristoro ma non c’è niente, si scende e finalmente c’è un signor ristoro, entriamo, c’è la moquette per terra, ci sono concorrenti che dormicchiano qui e là. Ci servono un piatto caldo a base di cipolla, patata e formaggio fuso (dalle mie parti potrebbe chiamarsi frico, anche se è a strati). Mangiamo e ci mettiamo a dormire 45 minuti, io disteso sulla moquette in un angolo.
Sveglia alle 2 di notte e ripartiamo, adesso si scende e poi si risalirà per quella che dovrebbe essere la salita impestatissima. Se questa salita era facile, nella prossima ci aspettiamo di vedere come minimo i DRAGHI. Tra i due ristori dovrebbero esserci 11 km e 1300 metri in giù e poi in su. Scendiamo tranquilli, valutando la situazione. A metà discesa si vede la frontale di qualche corridore sulla montagna di fronte. Arriviamo al punto più basso e siamo già a 7 km, vuol dire che in 4 km dovremo fare 1300 metri… Iniziamo la “scalata” su un sentiero poco pendente, a margine ogni TOT metri ci sono delle edicole della via crucis, mi immagino che sul muro di ogni tempietto ci sia un foglio con un elenco di imprecazioni suggerite per avanzare. Dai, se c’è una via crucis questo sentiero lo farà anche il prete… i preti svizzeri non penso siano tanto diversi dai nostri, con la pancia e stanchi… o magari il prete svizzero deve avere due polpacci enormi sennò non gli fanno prendere i voti… il sentiero comunque non è troppo pendente, passa un km e abbiamo fatto pochissimo dislivello… ok, 3 km e 1200 metri? Per fortuna alla fine quelli che dovevano essere 11 km saranno quasi 15, la pendenza non è troppo cattiva.
Peccato che, quasi a metà salita…
Dico al Dece che a breve faccio una pausa di 2 minuti.
Il Dece mi risponde “aspettiamo di arrivare a metà salita precisa”, mentre me lo dice si gira, mi guarda in faccia e dice “ok, ci fermiamo subito”. Cosa abbia visto nella mia faccia lo sa solo lui.
Ci sediamo. Spegnamo la frontale.
Hey… così mi viene da vomitare…
“alziamoci allora”
Ripartiamo, mi appoggio un attimo con la spalla su un muro della via crucis, con la sua bella lista delle imprecazioni, ne uso alcune.
Avanziamo, ogni tot mi parte uno sforzo, ma non riesco. Continuo ad avanzare, sono in difficoltà, passo un’ora decisamente dura, ho conati, poi finalmente riesco a sfogarmi ma esce solo acqua. Ho lo stomaco vuoto.
Arriviamo al ristoro di Jungu alle 5.30, all’aperto. Il Dece mi dice di starmene tranquillo un’ora, per togliere stress allo stomaco. Io gli dico di andare avanti, che valuto la situazione, mi prendo un po’ di tempo per me e poi vado avanti. Siamo tipo a 5-6 ore dal cancello orario, posso prendermela comoda. Lo saluto, prendo un brodo caldo. Nel giro di un’ora passo da aver caldo in maglietta e pantaloncini a vestirmi con pantaloni antipioggia, maglia, impermeabile, 2 coperte e brodo caldo ma tremo tantissimo.
Lo so.
Lo so che ho fatto il patatrac.
Adesso intuisco anche che il giorno prima non era solo un calo di zuccheri.
Ma adesso sono qui. E non voglio ancora pensare a quella brutta parola. Il cielo comincia a diventare verde, quel colore che anticipa l’aurora.
Ok, aspetto che schiarisca. La luce dà buon umore. Vado dal volontario, cos’avete da mangiare? “Insalata di patate.”, e basta? “e pane!”
Ok, vorrei… uhm… insalata di patate e pane.
Mangio patate con salsina all’aglio. Mangio anche 3 mandorle.
E riparto. Riparto perché sono qui a correre un ultratrail. Non a piangermi addosso.
Lo so. Lo so che il mio stomaco è malamente.
Dopo 15 minuti mi rimetto in pantaloncini e maglietta, fa caldo.
Dopo 1 ora che sono partito sento l’urgenza di correre nel bosco, con un odore di aglio che non promette nulla di buono.
Svuotato.
Non ho più niente in corpo: le patate sono andate nel bosco. Sistema digerente pulito, non mi puliva così bene nemmeno una lavanda gastrica.
Procedo, un senso di nausea latente. Certo che lo so: adesso sono decisamente fregato. Ripeto alcune righe del bellissimo foglietto delle imprecazioni che mi sono inventato.
Fancuore. Io vado avanti lo stesso. Ho tutto il giorno davanti, mancano 35 km alla base vita, non ho altri impegni oggi che procedere per questo sentiero fino alla base vita. Devo arrivarci per le 21.30. E se non arrivo per le 21.30 ci arriverò più tardi.
Ma me lo devo.
Metto sullo stato whatsapp un aggiornamento di come sta andando. Millemila messaggi di chi mi sta seguendo e mi supporta in questo momento. Non leggo per ora, vado avanti.
La nausea mi accompagna con forza per ore, magari non aiuta anche il sonno. Sono come ubriaco, ecco! Proprio come un ubriaco, che gli sta passando la sbronza. Sensazione di nausea, malessere, rintontimento. Avanzo quasi trascinandomi. Mi rendo conto che sto andando pianissimo. Ma pianissimo è l’andatura che adesso riesco a sostenere, quindi “pianissimo” è il nuovo “a tutta birra”, va bene così.
La parola “ritirato” comincia ad essere sempre più presente nella mia mente.
Verso mezzogiorno sto attraversando una landa desolata di pietroni di 2-3 km, devo stare attento a non mettere male il piede, sono rintontito. Mi sento come se fossi l’ultimo, ma da quello che mi scrive Michela da casa, ho 30-40 persone dietro di me. Mi sento solo, abbandonato.
Dai, adesso arrivo in quel punto, c’è un punto in cui c’è un po’ di muschio, e mi metto a dormire lì 10 minuti. Arrivano due da dietro, faccio finta di cercare qualcosa nello zaino, li lascio passare e poi mi metto giù.
Mi risveglio più energico, qualcosa ha aiutato. Scollino finalmente l’Augustbordpass (2892 mslm) e torno a scendere, alla fine della discesa arrivo al ristoro. Siamo in una stalla, ma il tratto in cui è allestito il ristoro è pulito e profumato, si sono messi di impegno per renderlo accogliente. Mi fanno l’omelette sul momento, poi mi danno anche la raclette. Sempre con porzioncine per persone di 52 kg a dieta, dovrei mangiare perlomeno una frittata di 6 uova con salsiccia e cipolle, altro che queste omelette che ci si riesce a guardare attraverso. Mangio formaggio e un paio di fette di torta, lo stomaco accetta, ma malvolentieri. Mi metto nello zaino due pezzi di torta, ormai do per scontato che alla prossima base vita mi ritirerò. Smessaggio ai 4 venti e riparto per i prossimi 1000 D+.
Le gambe viaggiano tranquille, ma ogni volta che cerco di tenere un’andatura di 300-350 D+/ora mi partono i crampi allo stomaco.
Di fronte ho un panorama stupendo, una montagna ricoperta di neve, sembra una torta a strati, più in basso sulla dx la neve diventa ghiacciaio con le tipiche curve a linguetta, ancora più in giù si vedono i vari rigagnoli di acqua che nascono dal ghiacciaio e, unendosi, diventano fiume. Nonostante io avanzi, il panorama non cambia, questo ghiacciaio deve essere enorme e lontano. Mi siedo un attimo a contemplarlo sotto questo pomeriggio grigio che minaccia pioggia.
La parola ritiro la considero a momenti una parolaccia. Mi sembra l’unica strada, ma forse… forse questo male lo sto inventando. Si sa che la mente fa brutti scherzi. Ok! Ci provo! 15 minuti a 400-450 D+/ora! Ascolto lo stomaco, mi dice che sono un cogl.one. Ma forse, forse non sono in grado di sentire bene? Daaai… non posso ritirarmi. Reimposto la velocità in modalità “pianissimo”. Scollino. Scendendo, mi superano in due concorrenti, uno prima e uno dopo, vorrei accelerare ma non riesco. Se non vedo nero, vedo almeno grigio scuro.
Arrivo al ristoro di Tshaelèet alle 16.00, mi siedo senza prendere niente. “Vuoi un po' di minestra di verdure?”, dai proviamo, poca eh! Lo stomaco accetta, lo sento che quasi ride, che sensazione strana. Ne prendo un’altra tazza. Mangio due pezzi di prosciutto e riparto. Sembra quasi che lo stomaco abbia fatto pace con me.
Cacchio se sto meglio, parto in discesa, mi faccio due conti: mancano più di 5 ore al cancello orario e 10 km alla base vita, quasi solo discesa. Se riesco ad andare ad un’andatura maggiore di “pianissimo” posso pensare di dormire un po’ e poi ripartire…
Daaaaaaiiii, Caxoooo!! Trotto, supero addirittura una concorrente e cerco di tenere un passo deciso. Fine della discesa, mancano 4 km con salita blanda. Ecco, finito il momento di gloria, lo stomaco borbotta, ma so che arriverò alla base vita con un paio d’ore d’anticipo. Raggiungo un concorrente, è il mio amico danese che avevo visto alla prima tappa. Mentre parliamo di acciacchi e problemi comuni vomita davanti a me… non bene…
Arriviamo assieme alle 19:30 alla Base vita di Grimentz , ho due ore per ricaricare le batterie e ripartire!