Sindrome da sovrallenamento

Di Martin John Trout - https://martinjohntrout.wixsite.com/endurance-training

traduzione e adattamento di Diego Trabucchi

 

“Mi ero sentito male praticamente per tutta la gara, con nausea e difficoltà ad alimentarmi. Mi sentivo come se fossi in alta quota, faticando a trovare ossigeno a sufficienza, con una sete continua ed i battiti del cuore costantemente troppo alti per il genere di sforzo che stavo facendo.

I dieci chilometri successivi mi richiesero ore, con il corpo che continuava a dirmi che c’era qualcosa fuori posto: brividi, dolori immotivati e pulsazioni cardiache che schizzavano in alto ad ogni tentativo di correre”.

 

Questo è Timothy Olson, che parla della sua sfortunata partecipazione alla Lavaredo Ultra Trail del 2015; solo tre anni prima, Tim aveva impressionato la comunità degli ultrarunner vincendo con il record la storica Western States Endurance Run, ripetendosi l’anno successivo e arrivando quarto all’UTMB nella stessa stagione. La disavventura a Cortina d’Ampezzo non fu un incidente isolato, ma l’ennesima di una serie di prestazioni decisamente sotto le aspettative; in due anni, Tim Olson era passato dall’essere uno dei migliori ultrarunner del pianeta ad una serie di ritiri e delusioni agonistiche. Olson non è stato il primo e non sarà l’unico ad andare incontro a una tale spirale negativa. Ecco come Geoff Roes, precedente detentore del record alla WS100, descrive un malessere cui andò incontro nel 2012.

“Alla fine di agosto soffrivo correntemente di estrema debolezza muscolare, affaticamento, intorpidimenti, formicolii, ansia, dolori casuali in qualunque parte del mio corpo, occhi gonfi, disturbi gastrointestinali, scarsa lucidità, mancanza di coordinazione ed equilibrio, sbalzi di temperatura corporea, glicemia, pressione sanguigna ed appetito.”

Come può, un atleta ben allenato, passare da una condizione di leadership ad una difficoltà a finire le gare o, come nel caso di Roes, anche solo a pensare di parteciparvi?

E’ noto che l’allenamento funziona sottoponendo il corpo, i muscoli ed il sistema cardio-polmonare ad una serie di stimoli più o meno lunghi o intensi, lasciando tempi adeguati per il riposo ed il recupero, in accordo alle leggi della “supercompensazione” (Weigert) e della “Sindrome di adattamento generale” (Hans Selye); un ciclo corretto di allenamento e riposo consente all’atleta di diventare più forte e veloce. Durante le sessioni di allenamento, l’organismo è progressivamente affaticato fino ad un livello fisiologico, definito “Functional Overreaching” (FO), che deve essere riconosciuto e immediatamente seguito da una fase di recupero per dare luogo ad una fase positiva di adattamento; i problemi iniziano quando ci si spinge, quasi senza accorgersene, da una situazione di affaticamento funzionale (FO) ad uno di sovrallenamento (“Overtraining Syndrome” – OTS). Come atleti siamo abituati alla sensazione di stanchezza, ai dolori muscolari, a momenti positivi e negativi: è tutto normale… fino al punto in cui nulla è più normale! E allora vediamo cos’è la sindrome da sovrallenamento (cui ci riferiremo per brevità con “OTS”), come si può riconoscere, cosa è opportuno fare per prevenirla ed eventualmente curarla, sempre in base alla moderna letteratura scientifica internazionale.

Una delle prime valutazioni in ambito scientifico dell’OTS risale al 1993; nel loro articolo “Overtraining in endurance atlete: a brief review”, gli autori Lehmann, Foster e Keul affermano che “il sovrallenamento è uno squilibrio tra allenamento e recupero, esercizio e capacità di esercizio, stress e tolleranza allo stress. Lo stress è la somma di fattori stressogeni derivanti dall’allenamento e di quelli esterni”. Posteriormente, nel 2002, è stato pubblicato un articolo intitolato “A practical approach to overtraining syndrome” in cui l’autore, Pearce, suggerisce che “la sindrome da sovrallenamento è un disturbo da stanchezza cronica che colpisce gli atleti di resistenza altamente motivati; è caratterizzata da un calo della prestazione a parità di allenamenti e la causa sembra essere il mancato adattamento del sistema neuroendocrino a seguito di periodi di riposo non adatti”. Nonostante questi studi, molti scienziati e medici rimasero scettici riguardo alla definizione e perfino all’esistenza di un simile malessere e, ancora nel 2004, i ricercatori Lalston e Jeukendrup pubblicarono l’articolo “Does Overtraining exist? An analysis of overreaching and overtraining research.”, in cui si concludeva che “ I dati scientifici e gli aneddoti supportano l’esistenza di una sindrome da sovrallenamento, tuttavia sono necessarie ulteriori ricerche per poterne definire con certezza l’esistenza”.

Le ricerche più recenti supportano l’esistenza dell’OTS e un articolo del 2012 intitolato “Overtraining Syndrome: A Practical Guide” (di Kreher e  Schwarz) la definisce come “una risposta di mancato adattamento ad un eccesso di esercizio, senza adeguato riposo”, aggiungendo che è causata da “perturbazione di diversi apparati e sistemi (neurologico, endocrino, immunologico)” con il possibile concorso di stress ossidativo, disturbi del sistema nervoso, affaticamento o problemi all’ipotalamo. In questo articolo gli autori definiscono tre livelli: uno di affaticamento funzionale (o Functional Overreaching – FO), uno di affaticamento non funzionale (NFO – recuperabile nel giro di alcune settimane o mesi) e infine quello di sovrallenamento conclamato (OTS – che richiede un recupero di mesi o anni e potrebbe in qualche aspetto essere irreversibile).

Avendo stabilito che l’OTS esiste e che è una condizione debilitante e da prendere sul serio, cosa possiamo fare come atleti per riconoscere i primi segnali di affaticamento non funzionale? Il celebre fisiologo sudafricano Tim Noakes, nel suo esauriente libro “The Lore of running” [“La tradizione della corsa” non tradotto in italiano], fornisce una lista di segni e sintomi da monitorare come indicatori di possibile NFO e OTS; questi sono divisi nelle due sfere: emozionale e fisica.

 

EMOTIONAL PHYSICAL
   
Mancanza di entusiasmo Calo delle prestazioni
Mancanza di interesse nella competizione Perdita di peso
Letargia e stanchezza Aspetto emaciato, malaticcio
Irritabilità, ansia, depressione Aumento della frequenza cardiaca a riposo
Insonnia, disturbi del sonno Frequenza cardiaca irregolare a riposo
Mancanza di appetito Recupero lento (frequenza cardiaca rimane elevata)
Calo del desiderio Eccessivo rilassamento posturale
Goffaggine, mancanza di coordinazione Dolori muscolari persistenti
Sete continua, aumento dell’apporto di fluidi Ingrossamento dei linfonodi
  Disturbi gastrointestinali
  Infezioni, allergie, mal di testa, malesseri vari
  Ferite che guariscono lentamente
  Amenorrea
  Disturbi endocrini e/o neurologici

 

Tratto ed adattato da “Lore of running” (Noakes T., 2003)

 

Nella serie di validi articoli pubblicati sul sito web “iRunFar.com”, il fisioterapista e allenatore Joe Uhan suggerisce che, per una diagnosi di sovrallenamento, sia necessario riscontrare le seguenti condizioni, anche dopo un periodo di riposo completo da due a quattro settimane.

1) Prestazioni sensibilmente ridotte nonostante adeguato riposo. L’OTS si distingue dal semplice affaticamento perchè l’atleta è spesso comunque in grado di iniziare un allenamento, ma non riesce a terminarlo.

2) Umore alterato, con sbalzi evidenti che risultano spesso concomitanti con alti carichi di lavoro ed altri agenti stressogeni.

3) Mancanza di sintomi di altre condizioni patologiche

* Tratto ed adattato da ““Overtraining Syndrome: An Overview.” Joe Uhan (2013)

Nella realtà, una vera e propria sindrome da sovrallenamento è piuttosto rara fra gli amatori, che più facilmente arrivano ad una situazione di affaticamento non funzionale, eccessivo. Vale sempre il vecchio detto “prevenire è meglio che curare”, per cui è auspicabile individuare in anticipo i segnali di affaticamento che potrebbero portare ad una OTS, invece di porsi il problema di come diagnosticarla ed eventualmente curarla a posteriori. In quali aree possiamo fare prevenzione?

Nutrizione ed idratazione. Adottare una dieta salutare, evitando i cibi raffinati, incluso zuccheri e cereali che hanno un effetto pro-infiammatorio. Aumentando l’apporto di nutrienti anti-infiammatori, come i grassi polinsaturi (Omega), la frutta a guscio i semi oleosi e le bacche. Limitare la caffeina

Rilassamento. Dormire bene e in quantità sufficiente, praticare yoga, meditazione o esercizi di respirazione profonda.

Equilibrio. Trovare un bilanciamento fra stress e relax, tra allenamento e recupero, tra allenamento e impegni lavorativi e familiari; rispettare una divisione salutare fra lavoro di quantità  e di qualità, dove una divisione indicativa potrebbe essere 80% allenamento facile/lento, 20% allenamento  ad alta intensità.

Varietà. Non esiste solo la corsa. La forma fisica si può raggiungere e mantenere con altre attività e queste variazioni di sport e movimenti possono limitare l’insorgenza dello stress: si può praticare ciclismo, cross-training (allenamenti diversi a corpo libero) o altre attività in montagna; possono avere un ruolo importante anche attività ad impegno più blando, come il nuoto o la camminata.

Prospettiva. La corsa è una parte importante dell’esistenza di un atleta, ma non dovrebbe essere l’unica o la più importante: c’è molto altro nella vita. Nessun allenamento o risultato di gara renderanno migliore o peggiore la nostra vita.

Tutti questi sono passi che l’atleta amatore medio può e dovrebbe fare: bilanciare in modo adeguato allenamento e recupero, seguire un’alimentazione salutare, assicurarsi di non accumulare stress nell’allenamento così come nella vita di tutti i giorni e infine creare varietà nell’allenamento.

Ci sono tanti atleti che devono la loro longevità agonistica proprio a questo tipo di approccio. Meghan Arboghast, classificata 13-esima al recente Campionato Mondiale dei 100km (facendo segnare il record per le atlete tra i 55 ed i 59 anni con 7h58’) è un ottimo esempio, con i suoi vent’anni di attività nell’ultrarunning. In una intervista recente a Trail runner magazine ha dichiarato di “essere moderata in tutto: alimentazione, gare, allenamento, sonno, senza farsi prendere dalla paura di perdersi qualcosa [anche conosciuta come fear of missing out – FOMO]. La mentalità ha un ruolo chiave in questo”. In un’altra intervista sullo stesso giornale americano, Karl “Speedgoat” Meltzer (48 anni e 36 vittorie sulle 100 miglia) dava questi cinque suggerimenti: “non gareggiare troppo, recupera completamente, aumenta i carichi gradualmente, ascolta il tuo corpo e prenditi delle pause”.

Non esiste in realtà un programma di recupero specifico per l’affaticamento o il sovrallenamento, soprattutto perché i sintomi e la gravità di questi possono variare molto da un individuo all’altro. In ogni caso, il primo passo da fare è quello di smettere immediatamente ogni allenamento. Questa singola misura può essere sufficiente in caso di semplice affaticamento, mentre generalmente non lo è nei casi di sovrallenamento, che ha cause multifattoriali e per il quale altri aspetti come quello nutrizionale, psicologico o endocrinologico devono essere chiamati in causa.

Dopo le sue esperienze negative, Tim Olson decise di prendersi un periodo di riposo dalla corsa, dedicandosi parecchio alle sue attività di coach e organizzatore di camp di montagna e running, dove meditazione e consapevolezza (mindfulness) hanno un ruolo importante. Di recente ha partecipato ad un reality show in TV e pare che ritorni a gareggiare seriamente nel 2017.

Un’altra atleta che ha parlato apertamente della sua esperienza e delle sue difficoltà con la sindrome da sovrallenamento è la neozelandese Anna Frost; nel suo caso l’OTS era anche una conseguenza della “Triade dell’atleta femmina” (uno squilibrio ormonale che comporta diversi sintomi e problemi *). Nel 2014 prese un anno di pausa dalla corsa, viaggiando in Asia ed Europa, facendo yoga e meditazione, adottando una dieta salutare in particolare povera di carboidrati e ricca di grassi. Anna ritornò alle competizioni nel 2015, vincendo la prestigiosa Hardrock 100 per due anni consecutivi, riconoscendo i meriti del suo recupero e ritorno al successo all’aver trovato un equilibrio ottimale sia fisicamente che spiritualmente, dove lo stress dell’allenamento è bilanciato da uno stile di vita salutare e dalle tecniche di rilassamento.

Nel 2011 Mike Wolfe era sulla cresta dell’onda quando decise di lasciare il suo lavoro di avvocato per dedicarsi a tempo pieno alla corsa; il risultato, come ammette lui stesso, fu OTS e prestazioni in rapido calo. Anche Wolfe decise di prendere una pausa dalla corsa, rivide il suo approccio e gli obiettivi della sua vita, riprese il suo lavoro da legale nel 2013 e da allora ha continuamente fatto progressi a livello di prestazioni e divertimento.

Altri atleti come Geoff Roes e Kyle Skaggs (detentore del record della corsa alla Hardrock per diversi anni) non sono stati così fortunati e stanno ancora subendo gli effetti a lungo termine dell’OTS; Skaggs, in particolare, non ha mai ripreso a correre e si è deliberatamente tenuto lontano dal mondo del running.

* La Triade dell’Atleta, in recente letteratura scientifica, è stato ridefinita come RED-S (Relative Energy Deficiency in Sport). Possono esserne soggetti anche gli atleti maschi ed è causata da un insufficiente apporto calorico.