TRANSJEJU BY UTMB – CORRENDO SULLA MONTAGNA PIU’ ALTA DELLA COREA

Jeju, l’isola più meridionale della Corea del Sud, è conosciuta come la “Hawai della Corea”: delle celebri isole del Pacifico ha il clima tropicale, le palme, le spiagge cristalline e quell’enorme vulcano al centro, il monte Halla, che 2 milioni di anni fa ha dato origine all’isola.

È una meta amatissima non solo dai coreani, ma anche da cinesi e giapponesi, visto che si trova proprio in centro al Mar Cinese Orientale, a metà strada tra Shanghai e Fukuoka.
Jeju Loveland

Dal 2011 ospita la TransJeju, che è diventata la gara di trail più partecipata del paese e che da due anni è entrata nel circuito “by UTMB”: non è un caso che metà dei partecipanti siano stranieri, attratti dalle bellezze naturali dell’isola e dalla possibilità di collezionare le “running stones” per tentare l’iscrizione all’UTMB.

La gara

Oltre alla 20 km, per gli ultratrailer vengono proposte la Jeju50k e la Jeju 100k. Attenti però che i nomi possono ingannare: la 50k in realtà è una 59km (con 2.250 m+) e la 100k è una 108km con 4.148 metri di dislivello positivo. I percorsi delle due gare coincidono per la parte iniziale e quella finale, con partenza e arrivo da Saegwipo, la città più grande della costa sud dell’isola. Solo la 100k conduce, però, fino alla cima del vulcano Halla, per cui quando si è trattato di scegliere il percorso, non ci sono stati dubbi: non ha senso arrivare fin dall’Italia e non vedere il cratere sommitale oggi occupato da un lago.

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Il cratere sommitale del monte Halla

La partenza avviene alle 5.40 del mattino dallo stadio del Jeju United, che ha ospitato i mondiali di calcio del 2002 (quelli che ci riportano alla mente l’arbitraggio scandaloso di Byron Moreno): ci sono circa 1000 iscritti alla 100k e altri 1.500 alla 50k, e l’atmosfera è di grande festa.
Partenza in alta definizione

Tra i partecipanti scorgo anche Michel Poletti, il direttore di gara dell’UTMB, che nonostante i suoi 69 anni non si è ancora stancato di ammazzarsi di fatica: fossero tutti come lui l’INPS alzerebbe senz’altro l’età pensionabile già domani mattina.

Dopo essere usciti dalla città, scortati dalla polizia municipale, si inizia a salire attraversando la “Foresta della Guarigione”, una delle attrazioni della zona, tanto che per entrarvi occorre prenotarsi in anticipo. Sono 11 km di sentieri che si snodano tra cipressi e cedri così densi che la luce dell’alba fa fatica a penetrarvi e si corre in un’atmosfera ovattata davvero particolare. La chiamano foresta della “guarigione” perché oltre a camminare, chi viene qui fa anche esercizi di meditazione, tecniche di respirazione e cerimonie del tè: oggi noi corridori indiavolati siamo davvero poco in sintonia in questo luogo fuori dal tempo che è un inno alla lentezza.
Tappeti di canapa

Una volta usciti dalla foresta , si inizia la salita al versante sud del monte Halla, seguendo il Yeongsil Trail, sperimentando per la prima volta i terribili gradini in legno che sono stati realizzati per permettere l’ascesa ai visitatori.

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Una volta superata l’altitudine della vegetazione, ci si trova a salire con davanti agli occhi il cratere sommitale  e alle spalle tutta la costa sud dell’isola di Jeju e il mare. I pendii sono poi punteggiati dagli Oreum¸ ovvero colline che altro non sono che coni di vulcani spenti (ce ne sono più di 300 in tutta l’isola!).

Il sentiero è costituto da passerelle di legno su cui è obbligatorio rimanere, per proteggere la flora e la fauna del luogo, visto che siamo in un parco nazionale: è strano e bellissimo essere tra le nuvole e seguire questo “tappeto” che si srotola lungo tutta la montagna.

Passerelle in alta definizione

Qui le due gare si separano e la 100k scende verso il nord dell’isola mentre la 50k comincia il suo ritorno verso il punto di partenza.

SI scende fino ad arrivare all’entrata del Gwaneumsa Trail, il più ripido tra i sentieri che salgono in vetta al monte Halla: sono 8 km di salita spaccagambe tra rocce e gradini per superare 1.400 metri di dislivello e guadagnare la cima del monte più alto della Corea del Sud, che svetta a 1950 metri sopra il livello del mare: i locali lo chiamano anche con il nomignolo di Yeongjusan, che vuol dire “la montagna abbastanza alta da trascinare la galassia, un nome assurdo ma che descrive bene l’imponenza di questa vetta che torreggia sull’isola.

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Il cratere sommitale è in parte occupato dal lago Baengnokdam, ovvero il “lago del cervo bianco” ed è spesso nascosto dalle nubi, ma oggi siamo fortunati e si mostra ai nostri occhi, mentre la costa sud dell’isola è sotto un’enorme tappeto di nuvole.

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A questo punto, in poco più di 50 km abbiamo praticamente fatto l’80% del dislivello complessivo della corsa (rimangono meno di 1000 metri di dislivello da completare nei successivi 50). Sarebbe però un errore sottovalutare questa seconda parte, perché oltre alla stanchezza e ai km già accumulati si aggiunge da un lato l’infinita e infida discesa verso Seongpanak che vi cuocerà i quadricipiti e poi una trentina di km di saliscendi con tratti estremamente corribili e altri da non sottovalutare in cui il sentiero è coperto da rocce e radici.

Passaggio fiume in alta definizione

 

Lungo la discesa incontro gruppi di escursionisti che si spostano per far passare i corridori, e li incoraggiano esclamando “Hwaiting” che è l’adattamento fonetico coreano dell’inglese “Fighting” (“combatti!”).

Scende la sera quando raggiungo un’altra foresta spettacolare, quella di Iseungak-Peak, che attira i fotografi con la sua bellezza che, dicono, è ancora più magnifica nelle giornate nebbiose in cui sembra di entrare in un altro mondo.
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Gli ultimi quindici km ripercorrono la “Foresta della Guarigione” in senso inverso rispetto a come l’abbiamo conosciuta al mattino: sono solo, ormai i concorrenti si sono diradati, e il silenzio fa risaltare ancora di più la magia nascosta in questo luogo. Accorcio il passo, un po’ per non fare rumore con la mia falcata, un po’ per gustarmi questi istanti preziosi.
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L’arrivo, dopo una serie di passaggi dimenticabili per evitare le strade trafficate è, nuovamente, allo stadio di calcio dove, anche in piena notte, ci sono sempre volontari ad applaudire i concorrenti. Sono stanco, come sempre d’altronde, ma la sensazione è quella di aver fatto meno fatica di altre volte, senza mai essere arrivato a pormi la fatidica domanda “Cosa ci faccio qui?”. Anzi questa TransJeju è una delle corse che ho vissuto con maggiore “presenza”, sempre pronto a meravigliarmi e godere della natura che avevo intorno.

 

APPUNTI PRATICI

Segnaletica: la gara è segnata benissimo, ad eccezione della salita al monte Halla in cui, essendo all’interno di un parco nazionale, è vietato. Il sentiero però è uno solo ed è impossibile sbagliare anche volendo.

Cibo: ci sono 9 ristori in tutto di cui 2 che offrono del cibo solido (brodino di ramen e salsa di soia) da mangiare rigorosamente con le bacchette. Tutti i ristori offrono acqua, coca cola, mandarini, banane, uva, biscotti. Attenzione al fatto che non ci sono ristori tra l’inizio della salita al monte Halla e la fine della discesa: sono circa 18 km con 1.500 metri di salita e altrettanti di discesa. In caso di crisi, potrebbero volerci parecchie ore.

Bastoncini da trekking: sono vietati in gara.

Abbigliamento: nonostante il clima tropicale dell’isola, sul monte Halla le condizioni possono essere anche “invernali”. È obbligatorio avere sempre con sé giacca in goretex e pantaloni lunghi durante tutto il percorso. Al checkpoint 4 (40° km), prima della salita al vulcano, c’è la possibilità di avere una sacca di ricambio con vestiti asciutti o altro.