CONTINENTAL DIVIDE TRAIL: DAL CONFINE MESSICANO AL CANADA

A cura di Maurizio Scilla

Il francese Jean Claude Banfi il 26 aprile è partito dalla frontiera messicana per questa lunga avventura in solitaria che dopo circa tre mesi lo porterà dopo 5000 km e 128.000 m di dislivello circa a raggiungere il confine canadese.
Il Continental Divide Trail, insieme all'Appalachian Trail e il Pacific Crest Trail, forma quello che gli escursionisti chiamano la Tripla Corona dell'escursionismo americano.

Jean Claude Banfi è trail coach, istruttore di sci nordico e collaboratore di Trails Endurance. Appassionato di sport all'aria aperta, fugge regolarmente per "viaggi" in solitaria vicino a casa o dall'altra parte del mondo. 
Qui trovate l’intervista che ha rilasciato a Trails Endurance, magazine francese.
Se volete seguire passo dopo passo questo lungo viaggio: https://www.facebook.com/jeanclaude.banfi.3

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Jean-Claude, come ti è venuta questa folle idea di partire da solo per il Continental Divide Trail?

Credo di aver sempre avuto un desiderio di scoperta, di avventura, fin dal mio primo viaggio, circa 40 anni fa, negli Stati Uniti. All'inizio si trattava di rafting e altre cose. Poi, nei vent'anni successivi, con la nascita dei figli e le malattie dei familiari più stretti, ho un po' smesso. Tre anni fa, durante un corso per operatori di ipnosi, abbiamo parlato dell'idea di lavorare sulla definizione degli obiettivi. Ed è così che ho trovato il mio obiettivo: "Uscirò di casa e andrò a Roma". Poiché tutte le strade portano a Roma, non mi sembrava molto complicato.

Ed è quello che ho fatto tre anni fa, alla fine di aprile, attraversando le Alpi con Nadine, mia moglie, che mi ha fatto da supporto con il nostro camper. È stato così fantastico che mi sono detto che non mi sarei fermato lì! E l'autunno successivo sono ripartito con Nadine, da Roma fino alla Sicilia, sempre di corsa e un po' in bicicletta. Mi sono reso conto che erano troppe le strade asfaltate e che avrei preferito fare un percorso un po' più naturale.

Poi un amico mi ha passato il libro di Cheryl Strayed “Wild”. E ho pensato: "È proprio quello che voglio fare! Così sono partito per il Pacific Crest Trail. Sei mesi di felicità, volendo riassumere ‘esperienza! C'è stato qualche problema, anche se il meteo verso la fine non è stato dei migliori. Ma nel complesso è stata un'esperienza così bella che quest'anno ho deciso di ripartire sul Continental Divide Trail, uno dei tre sentieri leggendari degli Stati Uniti, insieme al Pacific Crest Trail e all'Appalachian Trail. Percorrerli tutti e tre è un'ipotetica tripla corona che non vuol dire nulla, ma mi sembra comunque la realizzazione di qualcosa di interessante!

Vuoi spiegarci cos’è il Continental Divide Trail?

Il Continental Divide è lo spartiacque tra l'Atlantico e il Pacifico. Si tratta quindi di un percorso che va dal confine messicano al Canada; si può fare anche al contrario, dal confine canadese a quello messicano. Si tratta di una "thru hiking", cioè di un'escursione di lunga distanza fatta in una sola volta, in autonomia. Il CDT è lungo tra i 4.000 e i 5.000 km, a seconda delle opzioni. Attraversa lo stato del New Mexico, piuttosto desertico, il Colorado, molto montuoso, il Wyoming, che inizia con una parte desertica e poi una molto montuosa, il Parco di Yellowstone, e termina con il Montana e l'Idaho.

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Come ti orienti, organizzi per seguire l’itinerario?

Per quanto riguarda l'orientamento, utilizzo due cose: ho la traccia GPX sul mio Garmin, che seguo sempre, mentre il secondo strumento è il telefono, dove praticamente il 100% dei camminatori scarica un'applicazione chiamata FarOut. L'app è gratuita e poi si acquistano i percorsi. Nell'interfaccia c'è una mappa con il posizionamento GPS, che è davvero molto preciso, e si può ingrandire la mappa. Poi ci sono tutte le informazioni di cui si può avere bisogno sul dislivello, sui luoghi in cui si può piazzare la tenda e sui punti d'acqua. È interattiva, il che significa che quando si passa davanti a un luogo, se si ha voglia di lasciare un commento, lo si può fare.

Così, ad esempio, in New Mexico, dove l'acqua era un vero problema (mi sono trovato più volte a raccogliere l'acqua da stagni che condividevo con le mucche), FarOut mi ha segnalato che in quel punto scorreva un ruscello e questo mi ha permesso di riempire le borracce. Un altro problema sono gli alberi caduti, di solito a causa di una tempesta. Quando ci si trova in un'area boschiva, tenendo presente che il limite della vegetazione qui è molto, molto alto, si possono incontrare alberi abbattuti a un'altitudine di 3.500 metri. Quando ci si ritrova in questi cumuli di neve, anche con il GPS, diventa piuttosto complicato trovare il percorso, soprattutto perché a volte è impraticabile a causa degli alberi caduti.

 E’ anche “balisato” ma sembra più per divertimento, si ha l'impressione che i segni siano impostati in base alla facilità con la quale si raggiunge il luogo. Su un percorso, puoi trovare 10 segni in fila, e poi per 30 km non ne trovi nessuno.

Quanti km e quanto dislivello riesci a fare per giorno o per settimana?

Ovviamente dipende dal terreno. La mia giornata tipo, quando si tratta di un terreno normale e corribile, senza “blowdown”, senza neve e con una pendenza ragionevole, è di circa 50 km, con 1000-1500 m d+. In genere mi alzo abbastanza presto, tipo alle 3-4 del mattino, e sono impegnato una decina di ore. Quando si arriva sulle parti veramente "montuose", come le montagne di San Juan, a volte si deve lottare per riuscire a fare una ventina di km in dieci ore, e ci si sente molto stanchi.

Su base settimanale, credo che la mia settimana con più km sia stata di circa 360 km; non ho mai superato i 400 km. E’ qualcosa che vorrei raggiungere prima o poi, ma il terreno deve essere davvero adatto.

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Come stai e il morale come va?

Sto bene, anche se ho avuto difficoltà ad entrare in azione. Sono partito quasi alla fine della stagione sciistica, mi sto dedicando sempre di più allo sci alpino e sempre meno allo sci di fondo, quindi sto facendo sempre meno attività, e pochissima corsa. La partenza nel deserto è stata davvero brutale in termini di temperatura e mancanza d'acqua, e anche se di solito non ho problemi di vesciche, quest'anno è stato molto più complicato. Un paio di scarpe mi ha abbandonato durante l'attraversamento di un fiume, e ho dovuto percorrere 160 km con due scarpe con buchi di diversi centimetri.

A livello di tendini e muscoli è andata in media bene, ho perso anche una decina di kg, quindi direi bene!

Camminare nella neve è davvero faticoso ed impegnativo per i tendini; si rischia di cadere, si sprofonda di 30, 40, 50 centimetri in una neve che non ha consistenza e a volte sprofondi fino a  toccare il fondo e questo può essere un po' doloroso.

Nella prima parte del percorso, il mio corpo non stava male, ma nemmeno bene, la mia mente ha avuto difficoltà a "entrare in gioco", mi sono attivato quando ho iniziato a fare una tappa di 240 km; ho dovuto alzarmi molto presto, affrontare lunghe giornate e, stranamente, è stato il fatto di entrare in questa nozione di sfida che mi ha fatto davvero "entrare in gioco". Quando si attraversa il confine tra il New Mexico e il Colorado, si entra nelle Montagne Rocciose e lì, l'ambiente di montagna, fa davvero bene alla testa.

L'alba intorno alle 5 del mattino, quando ci si trova a quasi 4.000 metri di altitudine e si è circondati da un paesaggio sontuoso, è un vero regalo e la mente entra davvero in sintonia. Ma anche avere accesso all'acqua senza doverla filtrare, o addirittura poter scegliere tra acqua fredda e calda, andare in bagno senza dover scavare una buca, fare una doccia, mangiare cibo che non esce da un sacchetto. Tutte queste piccole cose diventano davvero importanti e producono un piacere che tende a scomparire nella nostra asettica vita quotidiana.

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Alleni i trail runner e li prepari per le ultra. Quali parallelismi si possono tracciare? Questa esperienza ti porterà a guardare in modo diverso il mondo ultra?

La risposta è un po' complessa. Se si analizza cosa sta succedendo nel trail running, ci sono due elementi che si uniscono: un elemento sportivo e un elemento naturalistico. Chi fa la Saintélyon, ad esempio, privilegerà l'aspetto sportivo rispetto a quello naturalistico, mentre chi fa il Tor des Geants sarà sicuramente interessato all'aspetto naturalistico e avventuroso. Penso che, a seconda del trailer e di ciò che sta cercando, la cosa avrà più o meno senso.

Due giorni fa, avevo 600 metri di dislivello per raggiungere i 4000 m. Sono salito a circa 4 km/h su questo pendio relativamente ripido. Avrò avuto una frequenza cardiaca di 130-140 bpm. Non è molto diverso da quello che può succedere durante la salita del Grand Col Ferret, in un UTMB. La differenza è che qui nello zaino hai tutto, quindi il peso è maggiore. Ciò significa che i tratti di corsa in piano sono molto meno piacevoli quando hai sulle spalle uno zaino da 12 litri o il mio attuale da 50-55 litri. Se nell'ultra si cerca anche un po' di avventura, la si trova completamente in thru-hiking. Quindi non cambierà completamente la mia visione dell'Ultra, ma trovo che le due cose siano complementari.

Il fatto di essere in modalità "corsa" mi permette di percorrere tappe lunghe e di riscoprire un aspetto sportivo che molti ignorano su questo tipo di percorso.

Il CDT può essere un "luogo strano, divertente per incontrare persone"? Hai mai incontrato nuovi compagni di viaggio?

Sul Pacific Trail, un incontro mi ha commosso, quello con i Trail Angels, sono persone che gravitano intorno al percorso e donano tempo e denaro per rendere la vita più facile ai camminatori; sono ancora in contatto con tre Trail Angels, alcuni sono diventati amici. Sei piuttosto vulnerabile quando sei solo con il tuo zaino e sei ancora più sensibile all'aiuto che le persone possono darti. Penso che questi percorsi siano una vera e propria cura per la misantropia, si incontrano persone fantastiche e sorprendenti. il CDT è un po' diverso: è abbastanza raro trovare qualcuno sul CDT che sia alla sua prima escursione; è molto, molto solitario, soprattutto quando si è sulla Red Line, si possono passare cinque giorni senza vedere nessuno, quindi l'interazione sociale avviene quando si arriva nelle città.

Inoltre, il Colorado è molto costoso in termini di alloggio, ci sono alcuni hotel, una sorta di ostelli della gioventù per i camminatori, si riesce a pagare 30/40 dollari e, in caso contrario, l'idea è quella di raggrupparsi in una stanza di motel e, in questo caso, esiste un aspetto di integrazione sociale. Ho appena fatto 300-400 km praticamente con la stessa persona, il suo nome “trail” è "Richarge".  Siamo nati lo stesso giorno ma con 20 anni di differenza, ci intendiamo perfettamente per quanto riguarda la ricerca del percorso e la velocità di spostamento. In termine di relazioni, non so se alla fine nascerà un’amicizia.

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Percorri dei tratti alternando corsa e marcia?

Per quanto mi riguarda, resto nell’anima un ultra trailer. L’idea è quella di correre il più possibile, sapendo che dipende da una serie di parametri. Nel tratto desertico, c'erano parecchi tratti "corribili". Ma bisogna comunque tenere conto del meteo, della temperatura e delle condizioni dei piedi. Non appena si entra nelle Montagne Rocciose, il percorso diventa meno "corribile". Ho fatto una tappa di 200 km in 7 giorni, lo zaino era molto pesante all'inizio. Non è una situazione favorevole alla corsa. Porto piccozze, ramponi e rampocini. Non è molto pratico per correre. In una giornata di 10 ore, in alcuni casi riuscivo a correre tre ore. Quindi sì, l'idea è quella di correre in base al peso dello zaino e quanto è corribile il terreno.

Pensi che questo tipo di avventura possa in futuro interessare altri trailer?

Tutto dipende da ciò che il trailer cerca. Se è un trailer agonista che cerca la velocità e il piacere di correre leggero e veloce, sarà complicato. Io non vedo come sia possibile non divertirsi, ma questo tipo di trailer non farà di certo questo passo.

D'altra parte, nell'ultratrail c'è un'apertura all’avventura, al rapporto con la natura, con gli animali, un ritorno alle cose semplici, da parte di un certo numero di trailer. In questo caso i collegamenti ci sono. Pubblico un bel po' di cose sulla mia pagina Facebook e ho diversi ultratrailer che ho allenato che mi seguono e che mi dicono - e credo siano sinceri - che mi invidiano e che vorrebbero tanto fare questi tipi di itinerari. La complessità è che ci vogliono almeno 4 mesi per organizzare questo tipo di itinerario. E non è facile nella vita organizzarsi per 3 mesi, inoltre bisogna contare credo su diecimila euro in tutto.

Quest’esperienza ti fa venire voglia di rimettere un pettorale e correre un ultratrail come l’UTMB, la Diagonale des Fous o il Tor des Geants per esempio?

Sì, certo. Non sono sempre molto intelligente, quindi dopo il Pacific Crest Trail ho pensato che sarebbe stato un ottimo riscaldamento per la Moab 200 nello Utah, che è una delle gare che ci tenevo a fare, perché ho lavorato lì per tre stagioni. Alla fine del Pacific Crest Trail ho provato a correre, ma in realtà ero così "distrutto" dopo 140.000 m d+ in 1200 ore (come Kilian in un anno), che quando ho ripreso a correre, dopo cinque km mi si sono accese tante luci in tutte le direzioni che dicevano "no, non è possibile, non è una buona idea".

L'aspetto positivo è che quando si termina un “thru-hiking”, si perde molto peso, e questo a livello di prestazioni incide, ma sei meno abituato alla nozione di fatica. Comunque per quanto riguarda il pettorale certo che lo rimetterò, forse per vincere l'UTMB quando sarò nella categoria 70+!