Passata la Western States, l'estate delle grandi 100 miglia americane prosegue con la Hardrock, la durissima gara che si snoda tra le San Juan Mountain in Colorado. Difficile entrarci, visto che sono solo 180 i posti assegnati rigorosamente a sorteggio, ma ancora di più portarla a termine con il classico bacio della roccia all'arrivo di Silverton:10.000 metri di dislivello e svariati passaggi oltre i 3.700 metri, ne fanno una gara leggendaria, un vero post graduate per i trailer runner di tutto il mondo. Abbiamo fatto qualche domanda al Race Director Dale Garland.
Spirito Trail: Dale, sei il Race Director della Hardrock dalla prima edizione, vero?
Dale Garland: Sì, ero nel gruppo di runners che hanno concepito il percorso, e, sì, da quando esiste la Hardrock ne sono il RD.
ST: In questi quindici anni come è cambiata la Hardrock?
DG: I primi due o tre anni avevamo una trentina di persone, e devo dire che non eravamo così organizzati! Era un vero e proprio esperimento: ricordo che uno dei nostri primi runner scrisse un report su UltraRunning Magazine dove disse che prima o poi qualcuno sarebbe morto o seriamente infortunato alla HR e che la colpa sarebbe stata nostra. Per il mondo trail americano, era davvero una corsa fuori dagli schemi, ma da allora è cresciuta e ha raggiunto uno stato di notorietà e fama tra i runners.
ST: Immagino che all'epoca ci fossero poche gare così dure e montane. L'Hardrock porta con sé un importante bagaglio di tradizione, qual'era l'idea originale, lo spirito che volevate ricreare quando avete concepito il percorso?
DG: Beh, c'erano due o tre idee: in primis la tradizione storica, per cui volevamo onorare i minatori che vivevano nella zona nel passato, poi dare visibilità alle quattro città che attraversiamo (Silverton, Lake City, Telluride, Ouray). In ultimo cercare un percorso che fosse il più possibile lontano da zone battute e tutto off-road e su sentieri.
ST: Beh, ci siete sicuramente riusciti! Seb Chaigneau (che ha vinto la HR nel 2013) sottolinea come sia una corsa più che una gara, un'esperienza più completa.
DG: Sì, Seb è un buon esempio di qualcuno che ha realmente capito lo spirito che vogliamo tramandare.
ST: Quest'anno, comunque, la lottery ci ha regalato un lotto di partenti incredibili, sarà sicuramente una gara molto competitiva. Come influenzerà la corsa questo aspetto?
DG: Siamo molto felici di avere una partecipazione così qualificata. Speriamo che persone come Adam Campbell o Kilian Jornet possano diventare parte della cultura e della famiglia della Hardrock, che la apprezzino per quello che è. Sotto questo punto di vista Seb è stato un esempio fantastico. Per noi è importante tanto quanto l'aspetto puramente agonistico.
ST: Qual'è la tua parte preferita del percorso?
DG: Difficile da dire (ridendo), ma ci sono due o tre posti che mi vengono in mente. Grant Swamp Pass, perché da un lato puoi vedere l'Island Lake e dall'altra Oscar Pass dove ho corso moltissime volte. L'altro è Handies Peak, il punto più alto del percorso. Ma come RD, il punto più bello è l'arrivo: cerco di essere presente a ogni arrivo, perché le emozioni che i runners si portano dietro fino alla pietra, rendono ogni arrivo davvero speciale. Significa molto per me.
ST: Posso immaginare cosa voglia dire arrivare dopo così tante ore su un percorso così duro, i video dell'arrivo sono sempre molto emozionanti.
DG: Sì, e per noi è una tradizione importante che tutti, specialmente i primi, rimangano sempre vicini all'arrivo e accolgano gli altri runners, è un idea a cui teniamo molto. È qualcosa di speciale.
ST: Fa parte di quest'idea di spirito e cultura che cercate di trasmettere.
DG: Sì, per noi Hardrock è molto più di un percorso.
ST: Sotto questo punto di vista, puoi nominare due o tre persone che secondo te impersonano questo spirito?
DG: Mmnh, comincerei con Kirk Apt, la persona che ha più partecipazioni di tutti, diciannove. Ha vinto la gara una volta, ma questo non dice abbastanza di lui. La Hardrock fa parte della sua vita, ogni estate viene e si stabilisce nella zona e aiuta nella tracciatura come in altri aspetti dell'organizzazione. Poi ci sono altre persone, come Billy Simpson, dal Tennesse: per lui Hardrock è come Natale, e la sua presenza anno dopo anno ci onora moltissimo. E poi un altro runner che sta diventando parte importante della famiglia è Scott Jaime. È un ottimo runner, competitivo, ma non solo. Questi tre signori sono un ottimo esempio di Hardrockers.
ST: Un'ultima curiosità: dove tenete la rock il resto dell'anno?
DG: Rimane a Silverton (risate)! Adesso è esposta tutto l'anno con una bella targa che spiega cos'è e cos'è la gara. Vuoi sapere la storia della rock?
ST: Sicuro!
DG: I primi anni come ti ho detto non eravamo molto organizzati. In realtà non avevamo nemmeno una linea di partenza o arrivo. Così eravamo allo start e uno dei runners chiede: “Ma come capiamo di essere arrivati?”. E allora mi guardai intorno e dissi “Devi toccare quella roccia”. Da lì è nato tutto, abbiamo poi cercato una roccia apposita, l'abbiamo pitturata e abbellita ed è diventato ufficiale che l'arrivo è segnato dal bacio della roccia.
Quest'anno poi, faremo una cosa nuova. Abbiamo organizzato una corsa per ragazzi che si chiamerà “Block to Rock” dove si farà il giro dell'unico agglomerato di case che costituisce Silverton (il Block) e si arriverà a toccare la roccia. Vogliamo creare una futura generazione di Hardrockers!
ST: È una cosa bellissima! Dale, grazie, è stato un vero piacere.
DG: Grazie a voi, e salutatemi Flavio Dal Bosco. Lui è un grande amico, e un altro vero esempio di spirito dell'Hardrock. E' parte della nostra grande famiglia.