Il 27-28 marzo si è svolta a Biella la BiUltra6.24, gara valevole come Campionato italiano Fidal di ultradistanza di 24 ore.
Tra i partecipanti alcuni nomi noti del mondo trail, in primis le campionesse Francesca Canepa e Lisa Borzani già note per aver vestito più volte la maglia azzurra e aver vinto gare di prestigio internazionale come ad esempio il Tor des Géants (entrambe) e Utmb (Canepa).
Non stupisce il fatto che proprio Canepa e Borzani abbiano dominato la gara femminile, rispettivamente con 226 e 206 km. Mentre tra gli uomini ancora due atleti provenienti dal trail ai primi posti: Marco Visintini con 245 km ha preceduto Matteo Grassi che con 241 km si è confermato l'ottimo interprete di questa specialità dopo essersi fatto conoscere nel 2019, 23° assoluto con 244 km, 1° tra gli italiani ai Mondiali di Albi (Francia).
Di seguito l'intervista a Matteo, portacolori e presidente della Spirito Trail Asd nonché promotore del progetto #24oreitalia.
A cura di Diego Trabucchi
Come è andata? Perché un ultratrailer fa 240 giri da 1 km su asfalto?
Bella domanda, ma è di quelle a cui è difficile rispondere. Tipo perché corri? O perché lo fai?
La corsa di 24 ore è uno sport e come tale è animato dalle motivazioni di affermazione e del raggiungimento degli obiettivi. Perché farlo in circuito da 1 km su strada, per 24 ore, dopo aver provato a fare corse di endurance trail in montagna, immersi nella natura, gare in cui quasi prevaleva l'aspetto esperienziale e dell'esplorazione, o della scoperta, su quello prestazionale..., perché farlo?
Mi viene da dire che sono due facce della stessa medaglia, penso al trail e all'ultramaratona in circuito come due poli opposti di un'unica entità: la corsa di resistenza. Nel primo caso prevale l'apertura verso l'ambiente che ti circonda, la fusione quasi "panica" con la natura. Nella seconda, all'opposto, prevale l'introspezione, il cercare in se stessi le motivazioni, le gioie e le gratificazioni.
Più difficile il Tor o una 24h?
Altra bella domanda! Come comparare una prova di 330 km con oltre 30.000 metri + su sentiero in ambiente montano, che dura 4 giorni, con una 24 in circuito, in cui si percorrono 240 km? Posso dirti cosa riesce più facile a me, ma altre risposte, probabilmente diverse potresti trovarle in altri atleti che hanno provato entrambe le esperienze, come per esempio Lisa Borzani o Francesca Canepa.
Pur essendo una gara davvero dura ed estenuante a me risulta più facile la 24 ore, sia in termini fisici, ma anche soprattutto per quanto riguarda l'aspetto di concentrazione, introspezione e motivazione. Mentre invece al Tor, le tre volte che l'ho provato, ho sempre patito due carenze: una fisica legata alla carenza di allenamento nelle discese e in alta quota, ma la più grave su tutte la carenza di sonno che si patisce dal terzo giorno in poi.
Sulla 24 ore mi sento arrivato a buon punto rispetto ai miei limiti e rispetto a degli obiettivi di valore nazionale. Mentre invece al Tor da un punto di vista prestazionale non sono mai riuscito ad esprimermi al meglio. Magari un giorno ci riproverò. Anche perché dal punto di vista esperienziale mi è entrato davvero nel cuore.
Come si prepara una gara del genere?
Tradizionalmente la preparazione di una 24 ore prevede grandi volumi di allenamento e tanti lunghi. Ma non essendo io più un ragazzino (classe '72) e avendo bisogno di mantenere stimolata la forza, ma anche recuperi meno rapidi di qualche anno fa, mettiamoci anche la mia disponibilità di tempo, che sconta alcune limitazioni, infine per alcune mie "fragilità" a livello tendineo..., per tutti questi motivi il mio allenamento è un po' meno quantitativo e più orientato verso la qualità.
Per esempio: le mie settimane di carico arrivano al massimo a 160/180 km, mentre altri atleti che praticano questa disciplina superano sovente i 200-240 km /settimana.
La mia settimana "tipo" è sui 100/120 km, ed è fatta di allenamenti con ripetute, corse in progressione. Nel periodo di maggior carico ho corso 4 lunghi, a settimane alterne, e tutti a buon ritmo. Questa è stata un po' una novità della preparazione 2020 e devo dire che mi ha portato ad un'ottima condizione in un tempo abbastanza breve. Un altro aspetto da non trascurare ovviamente, è quello della corsa lenta, sia nelle sedute rigeneranti, ma anche nei lunghi. Sia per allenare quello che mi piace definire come "ritmo crociera", sia per allenare e stimolare il metabolismo lipidico. In quest'ultima preparazione ho un po' trascurato quest'aspetto, e non so valutare se nell'ultima gara mi sia effettivamente mancato quel quid. Posso affermare però con sicurezza che un decennio di gare tra ultratrail e ultramaratone mi hanno formato in questo aspetto e ne è rimasta traccia a livello metabolico, come una memoria consolidata, anche a distanza di mesi (anni).
Come si imposta e gestisce? E l'alimentazione?
Allenamento, strategia e alimentazione sono le 3 chiavi per una 24 ore. E quest'ultima è forse quella più trascurata, o meglio, solitamente lasciata all'improvvisazione o ad approcci intuitivi, cioè non analitici e non basati su dati scientifici. Per non commettere grossi errori bastano giusto un paio di nozioni di alimentazione e un minimo di programmazione dell'integrazione nell'arco delle 24 ore.
Prima di ognuna di queste prove, ma anche prima dei lunghi in allenamento, calcolo il fabbisogno energetico e pianifico l'assunzione di liquidi zuccherati e cibi solidi contenenti zuccheri e grassi a catena media, che assieme alle scorte di glicogeno e al teorico metabolismo lipidico devono portare ad un bilancio positivo.
Il piano teorico di integrazione in una 24 ore si scontra spesso con il sopraggiungere di difficoltà, come l'antipatia ad alcuni gusti o la difficoltà di ingerire alcuni cibi. Ecco in quei casi è importante avere pronto anche un piano B, con cibi e bevande di scorta che possano garantire l'apporto energetico indispensabile a concludere la prova, attraverso un'integrazione magari meno ottimale, ma più gradita e di più facile assunzione.
La tua coach è Lisa Borzani, anche lei al debutto sulle 24h. Come funziona il coaching a distanza?
Sì è Lisa la mia bravissima coach. Anche lei come me ha un'esperienza di atleta su strada, nel trail e ora anche sulla 24 ore. Ma soprattutto ha imparato e fatto tesoro degli insegnamenti dei suoi allenatori, primo fra tutti Franco Sommaggio, da cui ha ereditato l'amore per la pista e l'impostazione degli allenamenti per la maratona, e Stefano Scevaroli per quanto riguarda invece le ultradistanze.
Penso che con Lisa abbiamo fatto e potremo fare ancora grandi cose, specie ora che ha provato anche lei la 24 ore e che io inizio ad avere (dopo 3 gare ufficiali su questa distanza) un po' di esperienza.
Il coaching a distanza funziona bene. Prima di tutto perché ci conosciamo da tanti anni, c'è fiducia reciproca e ci capiamo al volo. Abbiamo uno scambio quotidiano di informazioni, ma essenziale, fatto di brevissimi laconici messaggi, cosa che mi consente di sentirmi libero di organizzarmi, regolarmi e gestirmi. Salvo poi volermi confrontare al bisogno su aspetti da migliorare, curare o cambiare. E Lisa è sempre disponibile e attenta ai miei riscontri.
Quanto è utile che anche lei venga dal Trail?
È stato sicuramente utile avere un'esperienza e una formazione per molti aspetti in simile. Un percorso trasversale dalla maratona al trail all'ultradistanza. Trasversalità e versatilità che è tipica anche di alcuni importanti atleti di livello internazionale, come le statunitensi Herron (primatista mondiale) e Dauwalter (vincitrice UTMB), il francese Clavery (già campione mondiale di trail), e il più noto di tutti lo spagnolo Kilian Jornet che ha recentemente tentato di battere il record del mondo sulla 24 ore. E pur non essendoci riuscito ha fatto vedere di che cosa è capace un ultratrailer quando scende in pista o strada e che la passione per la corsa di ultra distanza è, come dicevo all'inizio, una sola, anche se ha facce così diverse.
Non dimentichiamo che attualmente in Italia (alcuni tra) i più forti atleti sulla 24 ore provengono dal trail,come Canepa, Trevisan e Borzani, Visintini, e io.
Ma non basta perché al recente campionato italiano di Biella erano presenti anche altri trailer di buon livello. La particolarità del momento, le poche gare e la necessità di dover correre intorno a casa nei periodi di restrizioni, ha portato molti ad avvicinarsi a questa strana disciplina. Penso che questa contaminazione non farà che bene ad entrambe le specialità. Le barriere, anche solo di tipo culturale, non mi sono mai piaciute, nemmeno nello sport.